“Palinuro si leva dal giaciglio ed esplora ogni spirare del vento, e spia con l’udito la brezza; osserva tutte le stelle del tacito cielo, Arturo, le piovose Iadi, entrambe le Orse e scorge, volgendosi intorno, d’oro armato Orione…”
Virgilio, Eneide, III, 517
Chissà quale tremenda impressione dovette destare questa bellissima costellazione che appariva le prime notti della stagione invernale, quando il mare diventava irrequieto, infido e difficile da affrontare, se i suoi primi osservatori greci gli attribuirono il nome di Orione, il cacciatore armato di una spada d’oro, Pindaro lo chiamò Oarion, il guerriero, gli Arabi Al-Giauza, il Gigante. “Orion infesto ai marinai”, così lo definisce Orazio nell’Epode 15, quasi ad indicare come a questo terribile essere, il più bello e forte tra tutti mortali, fosse associata la volontà di distruggere. È curioso osservare che sia i Greci che gli Arabi, e ancora prima i Sumeri, e gli Egizi, dovendo attribuire un nome alla figura creata da questo gruppo di stelle, abbiano pensato a qualcosa di grandioso e potente. I Sumeri vi videro raffigurato l’eroe Gilgamesh, gli Egizi Osiride, il dio dell’oltretomba.
La sagoma dell’eroe è delineata da nove stelle. Le più importanti, oltre quelle che formano la sua famosa cintura, Alnitak, Alnilam e Mintaka, sono Betelgeuse (spalla del gigante), Rigel (il piede), Saiph (Nair-al-Saif, la [stella] brillante della spada), Bellatrix (la guerriera). Orione si trova accanto al fiume Eridano. A fargli compagnia altre due costellazioni, Canis Major e Canis Minor, i suoi cani da caccia, di fronte a lui, quasi stessero combattendo, il Toro, dietro di lui che appare a primavera allo sparire di Orione sotto l’orizzonte, lo Scorpione.
Il mito greco
Figlio di Poseidone e di Euriale, figlia del re Minosse di Creta, ebbe una moglie di pari bellezza: il suo nome era Side, ed era bella, bellissima, così bella da osare rivaleggiare con Era, che in collera, la scagliò nel Tartaro. Privato dell’amata sposa, si innamorò di Merope figlia di Enopione, re di Chio e nipote di Dioniso. Ne chiese al padre la mano che acconsentì a patto che lo avesse liberato delle belve che infestavano l’isola. Cosa abbastanza semplice per il più potente cacciatore mai esistito, ed ogni sera faceva dono delle pelli degli animali uccisi alla sua amata. Terminata la sua fatica, Enopione non prestò fede al patto, disse, senza che fosse vero, che lupi, orsi, leoni, vagavano indisturbati per l’isola e rifiutò di dare sua figlia in sposa ad Orione. Furioso, dopo aver bevuto un’otre di vino, giacque con Merope. Il re non potè lasciare impunito tale gesto. Aiutato dal padre Dioniso che ordinò a dei Satiri di ubriacare Orione fino a farlo addormentare, consumò la sua vendetta accecandolo. Abbandonato sulla spiaggia e disperato per la sua cecità, un oracolo della Pizia di Delfi gli indicò il modo di recuperare la vista: volgere lo sguardo verso Elio nascente dal mare. Dalla spiaggia su cui era stato abbandonato seguendo il rumore dei martelli dei Ciclopi, camminando sulle acque, potere che gli derivava dall’essere figlio del dio del mare, si recò sull’isola di Lemno nella fucina Efesto. Orione, preso sulle spalle Cedalione, maestro del dio del fuoco, si fece condurre sulla spiaggia più remota dell’oceano. Qui Eos, l’Aurora, s’innamorò di lui, e dopo avergli volto lo sguardo verso suo fratello, Elios nascente, riacquistò la vista. Si diresse verso Chio a cercar vendetta, ma non trovò il re, che nel frattempo si era rifugiato in un nascondiglio sotterraneo. Giunse a Creta credendo che Enopione si fosse rifugiato chiedendo aiuto, da suo nonno, il re Minosse. Un giorno mentre cacciava s’imbattè in Artemide che affascinata anche dalle sue vanterie su come avrebbe liberato il mondo da tutte le bestie malvagie e feroci, da subito bruciò di passione per lui. Il fratello di lei, Apollo, non poteva permettere che la sorella amasse il profanatore dell’isola sacra di Delo. Lì infatti, aveva giaciuto con Eos, ed al ricordo di quella profanazione tutte le mattine l’Aurora arrossisce. Apollo si recò da Gea, la Terra, loro madre, al quale in modo ingannevole riferì che Orione aveva intenzione di sterminare tutti gli animali. Gea scatenò contro di lui il velenosissimo Scorpione. Il cacciatore cercò di difendersi, ma resosi conto dell’invulnerabilità dello Scorpione, si tuffò in mare per cercare di fuggire verso l’isola di Delo. Apollo tese quindi un tranello alla sorella. Vedendo Orione nuotare in mare, il dio sfidò la sorella a colpirlo, raccontandogli che era un malvagio che aveva sedotto Opide, una sua sacerdotessa. Artemide, infallibile con l’arco, non fallì la prova, ma solo dopo aver raggiunto a nuoto la sua vittima si rese conto che quel punto oscuro che sorgeva dal mare era la testa del suo amato. Distrutta dal dolore pregò Ascelepio, figlio di Apollo, di ridonare la vita al suo amato, ma prima che potesse compiere l’opera fu fulminato da Zeus. Artemide trasformò allora il suo perduto amore nella costellazione che porta il suo nome.
Esistono altre leggende su questo mitico cacciatore. Una riguarda la sua nascita. L’apicoltore Irieo senza saperlo aveva ospitato in casa sua Zeus, Poseidone ed Ermes, che soddisfatti dell’ospitalità ricevuta chiesero al loro ospite quale fosse il suo più grande desiderio. Questi rispose che era di avere quel figlio che egli non riusciva a generare. I tre dèi chiesero a Irieo di sotterrare l’otre ricavata dalla pelle di un toro sacrificato che nel frattempo avevano riempito del loro seme e da questa nacque il gigante Orione. Una variante ci dice che all’interno dell’otre non vi fosse stato messo il seme degli dei, ma che dentro vi avessero orinato (ourein). Infatti alcuni testi riportano Urione, non Orione, come se il nome potesse derivare proprio da quel termine greco a significare “portatore d’acqua”, e sottolineare il legame col padre Poseidone e la sua caratteristica di ritornare visibile in cielo con l’inizio della stagione delle piogge. Secondo altre versioni Irieo ed Enopione erano la stessa persona, e la Merope che violentò altri non era che la moglie di questi e dunque la sua matrigna. La colpa dell’incesto sarebbe stata punita con l’accecamento, mito che ricorda la punizione che si auto-inflisse Edipo alla scoperta del suo rapporto incestuoso con la madre.
Un’altra leggenda narra di come fosse stata Artemide con le sue frecce ad uccidere Orione perché aveva osato sfidarla ad una gara di lancio col disco.
Tuttavia il mito che ci è stato tramandato e che sembra di scorgere ancora nel cielo, è quello che narra di come Orione avesse violentato Opide, una vergine che accompagnava la stessa dea, che oltre che della caccia era dea della castità. Poi, innamoratosi delle sette Pleiadi, dopo cinque anni di inseguimento Zeus mosso a compassione le trasformò prima in colombe (peleiades) e poi in quel gruppo di stelle osservabile vicino alla costellazione del Toro, e che a differenza di Orione, portatore di sventure, ai marinai il loro apparire era benevolo perché segnava l’inizio della stagione delle navigazioni. Non pago, cercò di violentare la stessa Artemide, e trovò scampo perché Eos, l’Aurora, innamoratasi di lui, lo rapì e tenne nascosto. Artemide, trovato il nascondiglio degli amanti, lo fece uccidere dallo Scorpione che lo punse sul tallone. Artemide ricompensò lo Scorpione trasformandolo in una costellazione, e lo stesso Orione subì analoga sorte, insieme al suo inseparabile cane, Sirio. Se in una notte invernale ci soffermassimo a guardare il cielo, noteremmo come sia visibile ancora oggi Orione che insegue le Pleiadi, ma non vedremmo lo Scorpione che attacca il cacciatore armato d’oro che eternamente fugge da lui scomparendo sotto l’orizzonte al suo sorgere in primavera. Compare in autunno a Occidente Orione, allo stesso modo in cui in primavera compare lo Scorpione a Oriente.
Leggende di altri popoli
I Sumeri nella costellazione che i Greci chiamavano Orione e loro Uruanna, che significa luce del cielo, vi vedero Gilgamesh in lotta contro il Toro celeste (gudanna). La dea Ishtar si era infatti innamorata del forte re di Uruk, ma questi la rifiutò. Offesa e rosa dalla rabbia chiede al padre Anu di affidarle il Toro celeste. Il padre prima rifiuta, ma dietro la minaccia della dea di spalancare le porte dell’oltretomba e di farne uscire tutti i morti, glielo affida. Comunque non riesce a compiere la sua vendetta, perché l’eroe riesce a sconfiggere la bestia. Ed è questo scontro che i Sumeri osservavano in cielo osservando le costellazioni del Toro e di Gilgamesh, poste una di fronte all’altra, quasi a perpetuare in eterno questa mitica lotta.
Gli Egiziani videro in Orione la personificazione di Osiride, e videro quelle stelle come la destinazione finale (duat) dei faraoni. "Vivi, sii vivo, sii giovane accanto a Orione nel cielo", è una delle formule contenute nei Testi delle Piramidi.
Anche la cultura maya osservò questa costellazione, e vi identificò il guscio della tartaruga da cui risorse il dio del mais che andò a riposare le sue membra in un luogo sacro, ciò che chiamiamo la cintura di Orione, riscaldato dalle pietre del divino focolare, le stelle Rigel, Saiph e Alnitak.
Anche gli inuit vedono nelle tre stelle della sua cintura, tre cacciatori che inseguono l’orso polare, rappresentato in cielo dalla stella Aldebaran, la più luminosa della costellazione del Toro.
Impressionante come una leggenda dei Pitjantjatjara, aborigeni australiani, assomigli al mito greco. Le Pleiadi erano un gruppo di giovani donne che cercavano di sfuggire dal cacciatore Njiru (Orione), che riuscì a catturarne una, la Pleiade oscura, e continuò in eterno ad inseguire le altre.
Nell’antica Cina, Orione era uno dei 28 Xiu zodiacali. È conosciuta come Shen (參), che significa «tre».
Una notte stellata
Quale fu la reale natura del gigante Orione? Eroe fermo nella sua decisione di rifiutare le attenzioni della dea dell’amore sumera Ishtar, personificazione del dio degli inferi egizi Osiride, o un essere in balia delle proprie passioni come molti eroi greci? Arso forse dalla crudeltà per la precoce perdita della bellissima moglie, il più bello degli esseri creati, che avrebbe potuto avere tutte le donne che avrebbe voluto, desiderò avere la figlia di un re che per lui era proibita. L’Aurora, lo rapì e per lui profanò l’isola sacra di Delo, ma egli desiderò Artemide. Volle possedere le sette Pleiadi, quando avrebbe potuto avere l’amore di chiunque altra, dea o umana che fosse. Forse, fu la vittima di un amore impossibile, il suo amore per una dea che lo riamava ma che gli dèi non vollero che fosse sua e per questo condannato in eterno ad inseguirla nella notte sfuggendo l’attacco mortale dello Scorpione.
"O re Osiride, tu sei questa grande stella , il compagno di Orione, che attraversa il cielo con Orione, che naviga nel Duat con Osiride"
Pyramids Texts, righe 882-3
Giovanni Albano
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