PIGNOLA- Come da tradizione, la terza domenica di maggio coincide con la festività di Maria SS degli Angeli, protettrice del paese. Una festa che vede fusi elementi sacri, come il carattere della festa in onore della Madonna vuole, e profani.
La festa ha inizio già il sabato, quando ancora di più si nota l'unione di questi due caratteri. Nel pomeriggio infatti, si svolge la "marcia del silenzio", che i fedeli compiono verso il santuario del Pantano, dove la statua della Madonna è meta di pellegrinaggio da settembre fino, appunto, alla terza domenica di maggio. Ma sempre il sabato, si può assistere alla tradizionale "Uglia", dove questi caratteri sono totalmente fusi in una manifestazione di devozione popolare suggestiva. La Uglia è un baldacchino a forma di guglia rivestito di stoffa blu su cui è affissa l'immagine della Madonna. Anche in questo come in altri riti a partecipazione popolare, è fortissimo l'elemento fuoco, con tutta la carica di elementi simbolici che lo caratterizza.
"La vera fede deve sapere attraversare anche le fiamme", sembra il messaggio di questo rito, quasi un "giudizio divino" che assomiglia ad una medioevale ordalia. La tradizione, infatti, vuole che la Uglia, portata a spalla dai fedeli, debba passare attraverso dei falò preparati per le vie del paese. Ed è proprio al medioevo che si può far risalire questa manifestazione di fede che unisce elementi cristiani, germanici e pagani.
La vera e propria festa per la Madonna è invece la domenica, quando, in processione, la statua di Maria viene portata dal santuario del Pantano alla Chiesa Madre di Pignola. Festa che si concluderà la domenica successiva, anticipata al sabato ancora dalla Uglia.
Durante la settimana, parallelo al calendario religioso, si è sempre svolto un programma di festeggiamenti che negli ultimi anni ha portato in paese cantanti come Edoardo Bennato, Irene Grandi, Nek, Spagna. Quest'anno il calendario prevede l'esibizione delle bande di Noicattaro e Pignola (nei giorni 18 e 19 la prima, e il 25 e 26 la seconda), il cabaret degli Adams il 20 e il cantante Gianni Dany il 23.
Al di là di tutto, è questo un momento importante per la comunità. Data l'importanza del culto, ed il forte legame che con questo rimane anche fuori dal paese, è questa l'occasione migliore per tutti i "migranti" di ritornare a rivedere genitori, parenti e amici, cari e meno cari compaesani. Richiamo che è ugualmente forte per chi non è ormai più residente qui, e per chi invece lo è ancora e lavora fuori, e per i quali forse, nemmeno le elezioni rappresentano un migliore motivo per ritornare, anche solo per pochi giorni a respirare l'aria del suo paese.
(giovanni albano)

La scrittura e la distanza dal divino, dai geroglifici alla scrittura digitale 20020702/3




Relazione tra linguaggio e cultura religiosa con alcuni esempi

C'è sicuramente relazione fra visione del mondo e scrittura. Non si può certo stabilire in termini assoluti quanto l'uno sia influenzata dall'altro. Ma è innegabile che qualsiasi forma di comunicazione sia anche la conseguenza del pensiero. Quindi la base sta in quanto l'uomo osserva, percepisce, conosce.
Considerando il campo religioso, quanto più è lontana la divinità, tanto più visiva sarà la scrittura. In un momento in cui si è appurato che la grandissima parte delle lingue, derivano da un unico ceppo, qualcosa deve aver provocato lo scarto che ha fatto sì che una lingua si sviluppasse in un senso piuttosto che in un altro, cioè a base essenzialmente pittografica o fonetica.


La scrittura dei Maya e degli Egizi

Quali sono gli esempi più lampanti di scrittura geroglifica conosciuti, o quantomeno i più noti ai più? Essenzialmente due, cioè la scrittura degli Egizi e quella dei Maya. Pur se a distanza di secoli, si può notare come il simile modo di concepire la divinità, coincida con una simile forma di scrittura. Sia gli Egizi che i Maya avevano un tipo di scrittura "visiva", e si osserva come entrambi avessero una concezione della divinità come immensamente distanti dagli uomini. Sia l'uno che l'altro, credevano che il faraone l'uno, e il sovrano l'altro, fossero la personificazione in terra della divinità. Ma la percezione dello scarto era lampante. Pur  essendo considerate come divinità in terra, la differenza fra chi li governava e la reale divinità era enorme. Entrambi, cioè sia il faraone che il sovrano,  utilizzarono un comune modo per raggiungere la comunione con la divinità. Entrambi costruirono piramidi. Vi era molto di divino in loro, ma la comunione con la divinità sarebbe potuta avvenire (forse) solo dopo morti. Il sapere religioso era gelosamente custodito dalla casta sacerdotale. Vi era anche una differenza sociale abnorme fra il regnante e l'uomo comune. Questo poteva solo essere uno schiavo nelle mani della divinità. Entrambi quindi, proprio per la percezione che avevano della divinità, utilizzavano una scrittura visiva. Era l'unico modo dunque per avere davanti agli occhi i loro dei. Potevano esserci delle manifestazione degli dei, come il Nilo con Amon Ra per gli Egizi, ma non c'è incarnazione in essi. Sono dunque scritture che parlano solo attraverso le immagini.


La scrittura giapponese e cinese

Le lingue cinese e giapponese, sono molto particolari. Sono infatti, a differenza di quanto il suo tipo di scrittura può far pensare, una commistione di elementi fonetici e di immagini. Infatti la maggior parte delle parole è irriducibile a pittogramma.
In Giappone, la sua religione storica, lo scintoismo, non è una religione rivelata. Il rapporto con la divinità, è ancora distante. Tuttavia i punti di contatto aumentano, dal momento in cui, le divinità si incarnano nella natura: anche le due isole giapponesi sono una divinità. La distanza con le divinità si riduce dunque rispetto a quanto avveniva con gli egizi e con i maya. Per quanto riguarda la Cina, non si può ricondurre il tutto ad un'unica religione, ma bisogna tener tuttavia conto anche di quelle che più che religioni sono sistemi filosofici, come il confucianesimo e il taoismo. Il buddismo vede non pochi punti di contatto con lo scintoismo, e comunque una preminenza di quelle forze naturali che sono raggiungibili solo attraverso grande dedizione per raggiungere il nirvana; il confucianesimo vede anch'esso un netto distacco con le forze divine, di cui l'imperatore ne rappresenta il tramite, pur vedendo il loro agire nella natura; il taoismo è a base sciamanico-magico, quindi anch'esso, fatti salvi grosso modo gli stessi principi dei precedenti, prevede un'iniziazione, dunque riservata ad alcuni sciamani o conoscitori della magia.
Quindi la distanza divina si accorcia: se ne sente la presenza nella natura, la si può in un certo senso toccare. Ma la distanza nei confronti della divinità, non è percorribile da tutti, vi è un mediatore fra questa e l'uomo, oppure lo è solo per alcuni iniziati.
È da notare tuttavia che la lingua è nata molti secoli prima di questi sistemi religiosi. Ma è anche vero che questi sistemi non sono nati dalla sera la mattina, e lo stesso Confucio non diceva di essere l'iniziatore della dottrina che porta il suo nome, ma dice di aver attinto ad antichissimi testi, di cui lui è stato solo l'organizzatore.
E proprio tenendo conto di questo si può notare, come una sempre più complessa sistemazione delle dottrine, nel corso dei secoli è corrisposto a un sempre più progressivo processo di stilizzazione delle immagini figurate, cioè gli ideogrammi utilizzati per quelle parole che hanno significato intrinseco, che cioè mettono in diretta corrispondenza l'ideogramma e l'oggetto rappresentato.


 La scrittura religiosa ebraica e cristiana

Sono due forme di religiosità, che rispetto a quella egizia o maya, o delle religioni/filosofie orientali, è più vicina all'uomo, vi è addirittura una comunione. Varie volte, come testimoniato dalla bibbia, Dio ha dato dimostrazione della sua presenza. Gli ebrei sono il popolo eletto. Per i cristiani un suo figlio è sceso tra gli uomini.  Dunque anche la forma di scrittura cambia. Le immagini non scompaiono del tutto, anzi, rimangono fondamentali, ma queste sono costruite dalle parole stesse.  Qui addirittura si nota uno scarto fra ebraismo e cattolicesimo, dunque fra quello che è il nucleo ebraico della bibbia, il pentateuco, a base cabbalistica, e quelle che sono state le successive aggiunte del pensiero cristiano, soprattutto i vangeli, che parla per metafore (trasferimenti di un nome di una cosa ad un'altra cosa), cioè le espressioni figurate attrraverso il linguaggio.
La scrittura ebraica e cristiana sono dunque molto legate all'aspetto religioso. Pur mantenendo un distacco incolmabile con la divinità, come è anche quello degli egizi e dei maya, fra questi ultimi ed i primi vi è una differenza fondamentale: il dio ebraico e cristiano è rivelato. È dunque un Dio che non è inconoscibile: è possibile conoscerlo, pur tenendo conto dei limiti che la conoscenza dell'uomo ha rispetto a Dio. La scrittura ebraica dunque parla di Dio, ed usa le parole come immagini di Dio stesso. La scrittura cristiana, usa le metafore, immagini create dalle parole.
In questo caso, il Dio cristiano è, rispetto a quello ebraico, un po’ più vicino. Da qui la necessità dunque di creare delle immagini con le parole, in modo che il contenuto dell'insegnamento biblico potesse essere meglio recepito. È tuttavia da considerare che le scritture, fino alla "vulgata", sono state solo messe a disposizione dei sacerdoti. All'uomo comune non si sarebbero potute dare in mano le sacre scritture. Ma il messaggio era per tutti. A livello religioso, le differenze fra il cristianesimo e l'ebraismo, stanno nel riconoscimento di Gesù come figlio di Dio, ed il carattere proselistico di quest'ultimo a differenza della chiusura verso l'esterno del primo. Ancora di più, si nota dunque il carattere di vicinanza all'uomo del cristianesimo, con un "figlio di dio" che scende tra gli uomini, il Logos che si fa carne. Il Logos, da cui parte tutto: "In principio era il Logos". Questo distingue queste due religioni da quelle egizia e maya e quelle orientali. Il riconoscimento, fin dal principio, dell'importanza del linguaggio. L'ebraismo, rispetto al cristianesimo, mantiene un accesso diretto a dio che non può essere di tutti. Il contatto con dio è riservato ai conoscitori della qabbalah. Questa permette la "ricezione" (che è il suo significato letterale), del messaggio di Dio. I libri cabbalistici, mantengono uno stretto contatto col pentateuco. Dei cinque libri, sia per il carattere stesso della scrittura, sia per una serie di significati intrinseci, è possibile farne una lettura con diversi livelli di significato. Vi è il significato esteriore, quello autentico, quello mistico, e quello che sarà svelato nella notte dei tempi. La struttura della Torah trascende dunque quello che è il puro livello filologico. Sotto l'aspetto cabbalistico, l'immagine diventa fondante del linguaggio. Ogni parola, ogni frase, assume un significato diverso a secondo di dove è collocata. Addirittura, per dimostrare il legame con l'immagine, si può dire che diventa scrittura geometrica, fatta con i 10 numeri primordiali e le 22 lettere. Ognuna corrispondente ad un significato preciso. Questo conferma il duplice carattere del dio: nascosto da una parte, e quindi il bisogno di immagini, della qabbalah per comprenderlo, e il dio invece che è nel mondo, e quindi il significato letterale e superficiale delle scritture. Il dio della tradizione cristiana, è invece più universalizzato, si accosta al peccatore nella figura di suo figlio. È un Dio più vicino agli uomini, che ha bisogno di meno immagini per essere spiegato e visto.


La scrittura greca

La scrittura greca è quella della filosofia e della scienza. Ma è anche quella di una particolare forma di religiosità, la mitologia, il "racconto intorno a dei, esseri divini, eroi e discese all'aldilà", secondo la definizione di Platone. La parola unisce due termini per certi versi simili, ma anche profondamente diversi. Mythos, per omero indica "parola", "discorso"; anche logos può voler dire parola, ma anche discorso, oppure ragionamento. Quindi mito, come un discorso che non necessita di dimostrazione, mentre logos, come ragionamento razionale. Gli dei greci, hanno una distanza dagli uomini che è quasi nulla. La distanza che separa gli dei dagli uomini è quella di un monte. Gli uomini nella mitologia, possono relazionarsi con gli dei, possono sfidarli. Ci sono uomini che possono essere per metà dei. Zeus si accompagna con donne mortali. L'Ade è esplorabile dagli uomini. I miti greci sono storie reali e accadute, che tuttavia vivono nel racconto che se ne fa. Dunque il linguaggio greco è essenzialmente legato alla facoltà del ragionamento, ben rappresentato dalla figura di Socrate, colui il quale, consapevole del fatto che le parole non contengono al loro interno immagini, quando nei suoi dialoghi si relaziona con qualcuno, chiede di un termine di precisare in maniera netta quello che intende utilizzando quella parola. Parola ormai slegata dal concetto di immagine, e quindi col pericolo di essere fraintesa: diverso dunque dalla parola ebraica che si presta a molteplici interpretazioni, con diversi gradi di aderenza alla divinità ma tutti ugualmente veri; qui invece si corre il rischio di fraintendere, cioè non cogliere completamente quanto si vuole dire. 


La scrittura digitale

La scrittura digitale basa tutto sull'atomismo. Non c'è più spazio per alcuna immagine. È la scrittura univoca, dove non entra più a far parte l'uomo con la sua ermeneutica.
Iniziato dal "cogito ergo sum" di Cartesio, è il procedimento che procede attraverso la dimostrazione della verità attraverso la riduzione di tutto al modello logico-matematico. Tutto si riduce a vero/falso, I/0.  È la fine della narrazione, a favore dell'informazione. Da un lato si osserva la scomparsa dell'uomo a favore dell'automa, e dall'altro, l'ipersoggettività che fa diventare divino il "se stesso", con gli altri uomini al ruolo di oggetti. È, come dice Heidegger, la morte della filosofia, nata dalla progressiva demitizzazione dell'uomo nella cultura greca classica, per passare alla cibernetica, il sistema perfetto di catalogazione, la morte dell'ermeneutica e dell'uomo.
È un mondo dove non c'è spazio più per le antiche divinità, per la fantasia, per la filosofia, ma quel che è peggio, è che non c'è più spazio, nemmeno per l'uomo, se non per quello egocentrista o completamente automizzato.


giovanni giuseppe albano
Pignola, 2/3 luglio 2002

Il linguaggio tra pensiero analogico e digitale 20020702/3



 [Base testuale: Tra analogico e digitale. La concezione del tempo e le forme della scrittura in il filo di Sofia, di Anselmo Grotti e Domenico Massaro]

a cura di giovanni giuseppe albano





Inoltre

La scrittura e la distanza dal divino,
dai geroglifici alla scrittura digitale

di giovanni giuseppe albano

 

 

 

 

 







 

Dove prendere le parole

È importante rispondere alla domanda: siamo liberi quando parliamo? Sarebbe facile rispondere di no, se si vivesse in un regime totalitario, dove le uniche parole ammesse sarebbero quelle del regime. Ma esistono varie sfumature al concetto di libertà di espressione. È innegabile che in tutto questo trovino ampio margine di agire, in società non totalitarie, i vari mezzi propagandistici e pubblicitari. Se così non fosse, la voce marketing non sarebbe quella più importante nella colonna delle spese delle aziende.

La pubblicità

Si può affermare che la pubblicità detta i ritmi di produzione. Le tecniche utilizzate sono relativamente semplici: il marchio e la ripetitività. Il marchio, che permette il facile passaggio mentale da questo all'oggetto. La ripetitività ha una doppia funzione. La prima è quella di raggiungere tutti. Si calcola, che mediamente in un giorno siamo "colpiti" da 2500 informazioni pubblicitarie, e che invece ne riusciamo, al termine della giornata a ricordarne il 5%; questo significa che la dispersione è del 95%, quindi solo con un continuo "bombardamento" la pubblicità riesce a rientrare in quel 5%. La ripetitività, che opera come la goccia d'acqua sulla roccia: lentamente, ma inesorabilmente questa è vinta. Così opera la pubblicità. Adottando un linguaggio che è semplificato al massimo, e tramite l'ausilio di slogan, prima che l'oggetto entri consapevolmente nella nostra testa, è creato il circolo vizioso del richiamo alla memoria. Quanti slogan pubblicitari ormai si conoscono quasi meccanicamente? Quindi, ad un certo punto, diventa meccanico anche il riferimento al prodotto. E quando si entra in un negozio, il primo slogan a venirci in mente, orienta la scelta. Naturalmente il primo a venire in mente sarà quello che più degli altri è venuto incontro alle "aspettative" della persona: chi è sensibile al fascino femminile, al momento di acquistare una birra, ad esempio, nell'indecisione (cioè che non è un particolare estimatore di un determinato prodotto), se gli verrà in mente "la bionda" ragazza che la reclamizza, allora la scelta sarà orientata in quella direzione. Sembra un modo semplicistico di liquidare l'argomento, ma non lo è: se l'80% dei prodotti destinati al pubblico maschile, hanno per protagoniste donne, evidentemente i produttori, a livello statistico, hanno notato che questo è il metodo migliore.
Il continuo sviluppo dei mezzi di comunicazione, è coinciso con un esponenziale affinamento delle tecniche pubblicitarie. Non esiste luogo "comunicativo" che non è in un certo senso controllato dalla pubblicità. L'utopia di internet, come luogo di libero accesso e indipendente fruizione, cade al momento della lettura del contratto che si sottoscrive con un qualsiasi gestore. Loro hanno l'autorizzazione a poter vedere quali sono i siti di preferenza, e inviare pubblicità adeguandosi di conseguenza.
«In passato la libertà d'espressione faceva paura alle dittature, che incarceravano gli scrittori, censuravano la contestazione, bruciavano i libri controversi. (…) per schiavizzare l'umanità, la pubblicità ha scelto il basso profilo, il piglio morbido, la persuasione. Quello in cui viviamo è il primo sistema di dominio sull'uomo contro il quale anche la libertà è impotente.» [Frédéric Beigbeder, citato da Ignacio Ramonet in Le monde diplomatique, il manifesto, maggio 2001]

Il linguaggio

Pur mettendo da parte tutti i possibili modi di condizionamento, è il linguaggio stesso che in un certo senso limita il raggio d'azione. Per comunicare, abbiamo bisogno del linguaggio, e questo non sempre ci mette a disposizione i termini adatti. La lingua non la creiamo giorno per giorno, nel modo in cui noi riteniamo "comodo", il linguaggio è sempre utilizzato da una società. Se questa ha bisogno di un termine, lo crea, ma la sua utilità è sempre esteso ad un'ampia cerchia di persone. Potremmo anche noi ogni giorno coniare parole nuove, ma non potremmo avere la pretesa di essere capiti nel momento in cui vogliamo comunicare.
Anche la specificità e la genericità dei termini è creata da un sistema che vive con noi, ma allo stesso tempo lontano da noi. A chi è appassionato di pittura, forse piacerebbe avere un nome per ogni tipo di colore nato con una diversa gradazione delle tinte, e sarebbero infiniti. Invece i colori sono divisi per classi, ed eventualmente si conoscono pochi colori che hanno un "nome proprio" (ad esempio i vari tipi di grigio: topo, fumo di Londra, canna di fucile). Ma non esistono milioni di nomi per indicare i colori. Non avrebbe senso per la grandissima parte della società. Un altro esempio è anche dato dai vegetali, tutti classificati in ambito scientifico. Chi è appassionato di botanica, avrà una conoscenza vastissima di tutti i tipi di piante, ma questo non è un fenomeno di grande portata. Quanti tipi di piante conosciamo? Un numero sicuramente ridotto. Quindi il linguaggio è venuto in soccorso a questa esigenza, creando una serie di termini generici che racchiudono in grandi classi le piante: albero, arbusto, conifere, cespuglio, rampicanti, grasse.
Il linguaggio cambia anche in base alla tecnologia. Per riprendere il tema dei colori, se non ci fosse stato un progressivo controllo delle tecniche di produzione di coloranti e vernici, non ci sarebbe stato neanche la necessità di creare quei nomi di colori che altrimenti sarebbero rimasti tutti racchiusi  nelle classi, ad esempio del grigio o del giallo. Allo stesso modo, nei popoli tropicali, dove l'abbigliamento è ridotto al minimo, non esiste la necessità di distinguere fra mano e braccio, o fra piede e gamba. Quindi solo nel momento della necessità di distinguere o evitare ambiguità si sviluppano termini capaci di operare eventuali distinzioni. Ma il fenomeno deve essere di larga portata, ed "accettato" linguisticamente dal resto della società.

I valori del linguaggio scritto e del tempo

La distinzione principale compiuta dal Grotti consiste nell'assegnare al linguaggio tre valori: geroglifico, ieratico e demotico.
Nel linguaggio geroglifico, la parola sta al posto della cosa rappresentata; è il meccanismo della scrittura che riproduce, stilizzandola ciò di cui vuol parlare. Nella scrittura ieratica, vige un forte alone di sacralità; qui la parola rimanda alla cosa, si ha la percezione del fatto che la parola è "altro" dalla cosa, ma vi rimanda. La scrittura demotica, è quella popolare, utilizzata nei contesti quotidiani e pratici; qui la parola sta al posto della cosa.
In pratica la scrittura ha subito un continuo processo di smaterializzazione, fatto riscontrabile anche vedendo i supporti utilizzati. Volendo seguire una linea temporale si può affermare che mentre la scrittura geroglifica era scolpita o disegnata sulla pietra, come gli egizi, quella ieratica si avvaleva di un supporto anch'esso molto resistente come la pergamena. Progressivamente si indeboliscono i supporti con l'altrettanto progressivo smaterializzarsi della "parola", fino a giungere alla carta, fatta di stracci anticamente,  fino alla carta di pasta legnosa, che dura, relativamente agli altri supporti, poco. L'ultimo stadio raggiunto è quello del bit. Non si usa nemmeno più la carta se un documento non lo si vuole stampare. La scrittura diventa una lunga successione di lettere digitali che si vedono comparire sullo schermo di un computer.
In relazione al linguaggio vi è la concezione del tempo.
Il tempo può essere non sequenziale: con questa concezione, gli eventi semplicemente "accadono"; si può far coincidere con le società arcaiche di raccoglitori e cacciatori. C'è da dire che comunque un minimo di ciclicità deve pur essere percepita, quella dovuta dall'alternarsi del giorno e della notte. Comunque in questo tipo di società, non vi è il rapporto di causa-effetto. Si sa che arriverà il giorno, che il sole nascerà, nient'altro.
Il tempo sequenziale è quello in cui si ha la percezione dello scorrere del tempo, c'è la cognizione della causa-effetto. Questo a sua volta si suddivide in tempo ciclico e lineare. Il tempo ciclico è di quelle culture che hanno la cognizione del fatto che ad intervalli stabili un evento si ripete: è il tempo delle società fondate sull'agricoltura e all'allevamento, dove la concezione dell'arrivo delle stagioni fa sì che si programmi a lunga scadenza. Si semina in autunno perché si sa che arriverà l'estate per raccogliere. È anche il tempo dell'antichità classica: il mondo tratto dal caos dai demiurghi, ma sapendo che vi potrebbe ritornare. Si è legati al meccanicismo dell'universo fisico: è un processo continuo di nascita e distruzione che non avrà mai fine.
Il tempo lineare è invece quello che spezza l'universo fisico, spezza il meccanicismo. È legato alla concezione ebraica di creazione dal nulla. Il mondo è creato, non è il frutto di trasformazioni. Si crea il punto di inizio, ed il tempo scorre da lì, lungo una linea, e non su un cerchio.

Il linguaggio scritto e il linguaggio verbale

La scrittura non è solo la trascrizione del linguaggio parlato. Le sue dinamiche si può dire che corrano in modo parallelo, e non univoco. Principalmente perché sono diverse le dimensioni dove agiscono
Il linguaggio verbale si svolge nel tempo, e fondamentale è la memoria: solo ricordando le parole di chi ci parla possiamo ricostruire il significato di quanto ci è detto. La scrittura invece insiste nello spazio. Lo spazio è dove la scrittura diventa tale: può essere una pietra scolpita come un libro, ma la scrittura ha bisogno dello spazio per esistere.
Analizzando il linguaggio, bisogna tener conto del fatto che la scrittura non è un parlare riversato su carta. Le dinamiche attivate sono diverse. Sono altri i meccanismi che si attivano nel momento in cui parliamo con qualcuno, oppure se leggiamo un suo scritto. Nel linguaggio parlato entrano a far parte azioni partecipative, come la gestualità, l'espressività, il tono della voce, che fatalmente, con la scrittura non si possono riprodurre.

Modi di scrittura

In generale le lingue che utilizzano immagini si scrivono dall'alto verso il basso, quelle che invece rappresentano suoni, si scrivono orizzontalmente. Queste a loro volta si dividono in base alla direzione di scrittura, da destra a sinistra quelle che non hanno vocali, e viceversa quelle che invece le hanno nel loro alfabeto. Alcuni studiosi sostengono che questo possa essere derivazione dalle funzioni che sono attivate dal cervello al momento di leggere una scrittura con o senza vocali, da sinistra la prima e da destra la seconda. Nel primo caso si ha una percezione del linguaggio come qualcosa da capire passo dopo passo, con un'attenzione che si sofferma su un singolo elemento alla volta. Nel secondo caso, la mancanza di vocali fa sì che della parola si debba avere prima di tutto uno sguardo globale, altrimenti si correrebbe il rischio di non capire quanto si sta leggendo. Sempre secondo gli studiosi, il verso della scrittura è dettato dall'emisfero cerebrale che per primo entra in funzione al momento della lettura: l'emisfero sinistro, quello dell'approccio globale, si mette in funzione scrivendo verso sinistra.
Secondo questi studiosi, dunque, l'introduzione delle vocali, all'interno dell'alfabeto greco, avrebbe provocato un radicale cambiamento delle funzioni specifiche del cervello attivate al momento della lettura, mettendo da parte l'approccio globale a favore di un approccio atomico.

Il digitale e l'analogico

Computare ed informare

Il modo di pensare è modellato dal linguaggio che abbiamo a disposizione, ma è anche vero il contrario, e cioè che il nostro linguaggio è modellato dal nostro pensiero.
Computare viene dal latino, e significa calcolare, contare. Da qui dunque, attraverso il francese e l'inglese, la parola computer. Informare, vuol dire dare una forma. Da qui, informatica, cioè la tecnica dell'elaborazione automatica dei dati
La distinzione dei due termini, può dar atto ad un'altra divisione, a due differenti tradizioni di sapere, a due sistemi di apprendimento, di conoscenza: digitale ed analogica. La conoscenza digitale rimanda alla visione della natura come un universo matematico, dominato dalla metodica misurazione. Il digitale fonda il suo principio sul fatto che le grandezze, possono essere ridotte ad un sistema alfanumerico, o, più spesso ad un sistema binario. Digitale (dal latino digitus, dito), è usato in contrapposizione ad analogico.
Analogico deriva dal greco analoghikos, ed indica una relazione di somiglianza. Analogico, a differenza di digitale, si riferisce a quei sistemi che hanno alla base i modelli fisici, ma che sono modelli di altri fenomeni e di cui, per analogia, ne simulano l'andamento. Gli orologi mostrano bene la differenza. Una pendola usa per analogia, il modello fisico che regola il moto di un pendolo; l'orologio digitale è quello al quarzo: non c'è alcun modello fisico, ma solo un elaboratore che trasforma le grandezze in cifre da mostrare sul quadrante.
Ma sono i modelli culturali che possono essere associati a questi che cambiano. Se il digitale punta alla verità attraverso l'esattezza delle misurazioni, con la matematica, con la quantificazione, il modello analogico, perché procedente per allusioni, lascia lo spazio all'interpretazione, all'ermeneutica.
Un esempio di conoscenza "digitale" è il "metodo" cartesiano, dove l'evidenza è la regola della verità. L'evidenza si raggiunge attraverso la scomposizione in atomi, dove poter agire con la logica binaria del vero/falso, e di rimando quindi alle grandezze scomposte in I/0 della tecnologia digitale. Un esempio invece di conoscenza di tipo analogico, è quello della tradizione delle scritture cristiane, gli exempla medievali e l'ermetismo dove l'iniziazione del soggetto è condizione unica per accedere alle forma del sapere, o, per estensione l'ermeneutica novecentesca, dove l'interpretazione è fondamentale. Il metodo digitale dimostra i suoi limiti nel momento in cui ha a che fare con grandezze che non sono le sue: ad esempio la fantasia. Come potrebbe la logica "giudicare" Pinocchio? Naturalmente falso, se dovesse solo tener conto del fatto che Pinocchio sia esistito oppure no, e pronunciarsi sul fatto che sia un personaggio reale oppure no. Tenendo conto del contesto, invece, cioè che il suo luogo d'azione è il regno fantastico, allora vediamo che Pinocchio, non meno del Capitano Nemo, sono personaggi altrettanto esistenti ed altrettanto capaci di influire sulle nostre scelte.

Esperienze sul linguaggio

Arnold Schonberg

Musicista ebreo, e quindi attraversato da tutte quelle che sono le tensioni filosofiche sul linguaggio per l'ebraismo. Ebraismo che vede nelle parole una doppia azione, la "dicibilità" e la "trascendenza", con parole che se da un lato dicono, dall'altro invece nascondono; ma più che nascondere, rendono bene quella che è l'indicibilità di Dio. Opera che dà l'idea di questa duplice tensione è Mosè e Aronne, nel quale Mosè, diventa consapevole dello scarto esistente. Le due figure rendono l'idea della duplicità: Mosè, in contemplazione estatica, silenziosa; Aronne che invece vede nel parole, nelle immagini, il continuo bisogno di religiosità. Il silenzio sembra a Mosè la miglior via per "toccare" Dio, ma è Dio stesso che propone al suo popolo immagini e parole. Davanti a questa contraddizione, Mosè distrugge la tavole della legge. Non quindi per l'infedeltà mostrata dal popolo creando un idolo, il vitello, ma perché sente la contraddizione di un linguaggio che vuole comunicare la verità negando se stesso. Mosè è l'idea, Aronne l'azione che dovrebbe esprimerla. Saranno entrambi sconfitti. Aronne tradisce il compito e muore, ma Mosè conclude con pesantissime parole: «Parola, parola, tu mi manchi». Una conclusione che non lo è, visto che l'opera rimase incompiuta (nella parte musicale, mentre l'opera letteraria dello stesso Schonberg si), ma che forse per questo assumono un valore ancora più simbolico.

Edmund Husserl

Husserl scrive La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. Ma gli anni '30 sono anni ricchi per la scienza, che raggiunge notevoli traguardi, ma con esiti a volte catastrofici. La crisi a cui fa riferimento, non si riferisce all'efficienza delle scienze. Ciò che vuole mettere in luce è la sua crisi di orizzonti, un'accusa al "razionalismo erroneo", che non vuole comunicare la verità, ma la vuole dimostrare. Vuole rendere visibile la fallacità delle "scienze di fatto", che creano gli "uomini di fatto", escludendo il reale orizzonte che dovrebbe riguardare l'uomo e di rimando la scienza, cioè i problemi del senso e del non senso dell'esistenza umana. Un allontanamento devastante dal soggetto, in nome di un'imparzialità che, di fatto, elimina l'uomo dal suo campo visivo. In un certo senso un tipo di conoscenza contrapposto alla magia, dove chi compie il rito ha importanza fondamentale; l'impersonalità invece della scienza sperimentale vuol trovare nell'oggettività il fondamento della sua validità. Principio dello sperimentalismo è che chiunque può ripetere "l'esperimento" senza che questo modifichi il risultato. Solo a queste condizioni il metodo sperimentale dimostra la sua validità, la sua verità. Sono questi i limiti del pensiero calcolante, che procede per "regole" già date, in una totale asetticità. È in questo che Husserl riconosce la crisi delle scienze europee. È la crisi del positivismo, e la propugnazione di una fenomenologia che rimetta al centro del suo pensiero l'uomo.

Michel Foucault

Nel libro Le parole e le cose (1998), Foucault, si scaglia contro la boria positivistica del ridurre tutto a categorie, riprendendo un'immagine di Borges, di un'enciclopedia cinese dove gli animali si dividono in una serie di categorie che farebbe venire i brividi a qualunque positivista. Non a caso Borges aveva scelto la Cina, dove il tipo di scrittura iconografica, a differenza di quella alfabetica, non permette una precisa collocazione spaziale delle cose. La scrittura alfabetica è una scrittura lineare e stabile, che crea un reticolo, in cui le cose sono disposte, e che allo stesso tempo rappresenta la griglie attraverso cui guardiamo le cose stesse.
Fino al XVI secolo, il pensiero era analogico, basato sulla somiglianza. È questa che ha guidato secondo Foucault, l'interpretazione dei testi, dipanandosi nella convenientia, presente nelle cose in cui i margini si toccano, come il corpo e l'anima; nella aemulatio, una convenienza senza la legge del luogo, come due gemelli; nell'analogia, dove il corpo dell'uomo è sempre la metà di un atlante universale; nella simpatia, il principio di mobilità di attrazione, come le cose pesanti verso il suolo e quelle leggere verso il cielo; e infine nell'antipatia, il principio di isolamento, che preserva le cose nello stato in cui sono. Il linguaggio rifletteva questi caratteri, ed il linguaggio non era visto come una serie di segni indipendenti dal reale, e lo studio dell'etimologia non era dunque la ricerca del senso originario delle parole, ma l'attribuzione delle proprietà intrinseche di essa. È nel mito della torre di Babele che si ha la frattura tra un linguaggio originario, dove le parole erano "deposte" su ciò che indicavano, e la pluralità dei linguaggi successivi, che sono convenzionali. Nella metà del '600 avviene la definitiva frattura. Il linguaggio perde tutta la sua funzione simbolica. Cartesio e Bacone pongono termine alla ricerca dell'analogia tra le cose. Le cose passano ad essere misurate. Tutte le grandezze sono ridotte ad un ordine di relazioni permanenti. Il digitale soppianta l'analogico, fino all'Ottocento, quando il "fallimento" del progetto digitale avviene per "colpa" di Nietzsche, il "folle" che svela la perdita di ogni centro.
Foucault afferma che il progetto digitale è ancora osservabile ai giorni nostri, e vuol mettere in evidenza che controllare e circoscrivere il linguaggio ed il sapere, non può far altro che portare alla scomparsa dell'uomo.

Martin Heidegger

Nel 1965 Heidegger afferma che la filosofia è ormai morta. Il suo posto è stato preso dalla cibernetica.
Cibernetica è un termine derivato dal greco, e vuol dire "arte del navigare"; nella seconda metà del '900 è passato ad indicare il metodo e i sistemi di controllo e produzione delle informazioni, che coinvolge modelli neurofisiologici, psichici, fisici, filosofici, matematici, logici.
Quanto affermato da Heidegger è inquietante: se così fosse, o se così è, vuol dire che ormai tutto è stato etichettato e catalogato, perché solo in questo modo la cibernetica riuscirebbe o è riuscita a diventare il "sistema" entro cui si muove la conoscenza. Entro cui si muove l'uomo. Un orizzonte fatto di sola tecnica. Dunque anche l'esperienza storica cessa di essere tradizione, per diventare pura "informazione". Ma l'informazione non è necessariamente comunicazione. Perché l'informazione diventi comunicazione è necessario l'uomo.
È una spersonalizzazione questa, figlia del troppo soggettivismo. Quando Cartesio ha posto alla base di tutto l'"io" ed il suo cogito, ha fatto sì che tutto ciò che è contrapposto al "sé", divenga solo un oggetto del pensiero. Gli altri uomini quindi considerati solo in base alla "impiegabilità", cioè un eccesso di soggettivismo che oggettivizza le persone, fa considerare gli uomini come massa, come strumento al servizio del sistema. È il meccanismo del totalitarismo. E quella che fa Heidegger, non è una previsione, ma  la descrizione del presente.
La cibernetica come nuova ontologia, distrugge l'idea di raccogliere una base comune di principi.


giovanni giuseppe albano

La scrittura e la distanza dal divino,

dai geroglifici alla scrittura digitale

 

Relazione tra linguaggio e cultura religiosa: alcuni esempi

C'è sicuramente relazione fra visione del mondo e scrittura. Non si può certo stabilire in termini assoluti quanto l'uno sia influenzata dall'altro. Ma è innegabile che qualsiasi forma di comunicazione sia anche la conseguenza del pensiero. Quindi la base sta in quanto l'uomo osserva, percepisce, conosce.
Considerando il campo religioso, quanto più è lontana la divinità, tanto più visiva sarà la scrittura. In un momento in cui si è appurato che la grandissima parte delle lingue, derivano da un unico ceppo, qualcosa deve aver provocato lo scarto che ha fatto sì che una lingua si sviluppasse in un senso piuttosto che in un altro, cioè a base essenzialmente pittografica o fonetica.

La scrittura dei Maya e degli Egizi

Quali sono gli esempi più lampanti di scrittura geroglifica conosciuti, o quantomeno i più noti ai più? Essenzialmente due, cioè la scrittura degli Egizi e quella dei Maya. Pur se a distanza di secoli, si può notare come il simile modo di concepire la divinità, coincida con una simile forma di scrittura. Sia gli Egizi che i Maya avevano un tipo di scrittura "visiva", e si osserva come entrambi avessero una concezione della divinità come immensamente distanti dagli uomini. Sia l'uno che l'altro, credevano che il faraone l'uno, e il sovrano l'altro, fossero la personificazione in terra della divinità. Ma la percezione dello scarto era lampante. Pur  essendo considerate come divinità in terra, la differenza fra chi li governava e la reale divinità era enorme. Entrambi, cioè sia il faraone che il sovrano,  utilizzarono un comune modo per raggiungere la comunione con la divinità. Entrambi costruirono piramidi. Vi era molto di divino in loro, ma la comunione con la divinità sarebbe potuta avvenire (forse) solo dopo morti. Il sapere religioso era gelosamente custodito dalla casta sacerdotale. Vi era anche una differenza sociale abnorme fra il regnante e l'uomo comune. Questo poteva solo essere uno schiavo nelle mani della divinità. Entrambi quindi, proprio per la percezione che avevano della divinità, utilizzavano una scrittura visiva. Era l'unico modo dunque per avere davanti agli occhi i loro dei. Potevano esserci delle manifestazione degli dei, come il Nilo con Amon Ra per gli Egizi, ma non c'è incarnazione in essi. Sono dunque scritture che parlano solo attraverso le immagini.

La scrittura giapponese e cinese

Le lingue cinese e giapponese, sono molto particolari. Sono infatti, a differenza di quanto il suo tipo di scrittura può far pensare, una commistione di elementi fonetici e di immagini. Infatti la maggior parte delle parole è irriducibile a pittogramma.
In Giappone, la sua religione storica, lo scintoismo, non è una religione rivelata. Il rapporto con la divinità, è ancora distante. Tuttavia i punti di contatto aumentano, dal momento in cui, le divinità si incarnano nella natura: anche le due isole giapponesi sono una divinità. La distanza con le divinità si riduce dunque rispetto a quanto avveniva con gli egizi e con i maya. Per quanto riguarda la Cina, non si può ricondurre il tutto ad un'unica religione, ma bisogna tener tuttavia conto anche di quelle che più che religioni sono sistemi filosofici, come il confucianesimo e il taoismo. Il buddismo vede non pochi punti di contatto con lo scintoismo, e comunque una preminenza di quelle forze naturali che sono raggiungibili solo attraverso grande dedizione per raggiungere il nirvana; il confucianesimo vede anch'esso un netto distacco con le forze divine, di cui l'imperatore ne rappresenta il tramite, pur vedendo il loro agire nella natura; il taoismo è a base sciamanico-magico, quindi anch'esso, fatti salvi grosso modo gli stessi principi dei precedenti, prevede un'iniziazione, dunque riservata ad alcuni sciamani o conoscitori della magia.
Quindi la distanza divina si accorcia: se ne sente la presenza nella natura, la si può in un certo senso toccare. Ma la distanza nei confronti della divinità, non è percorribile da tutti, vi è un mediatore fra questa e l'uomo, oppure lo è solo per alcuni iniziati.
È da notare tuttavia che la lingua è nata molti secoli prima di questi sistemi religiosi. Ma è anche vero che questi sistemi non sono nati dalla sera la mattina, e lo stesso Confucio non diceva di essere l'iniziatore della dottrina che porta il suo nome, ma dice di aver attinto ad antichissimi testi, di cui lui è stato solo l'organizzatore.
E proprio tenendo conto di questo si può notare, come una sempre più complessa sistemazione delle dottrine, nel corso dei secoli è corrisposto a un sempre più progressivo processo di stilizzazione delle immagini figurate, cioè gli ideogrammi utilizzati per quelle parole che hanno significato intrinseco, che cioè mettono in diretta corrispondenza l'ideogramma e l'oggetto rappresentato.

 La scrittura religiosa ebraica e cristiana

Sono due forme di religiosità, che rispetto a quella egizia o maya, o delle religioni/filosofie orientali, è più vicina all'uomo, vi è addirittura una comunione. Varie volte, come testimoniato dalla bibbia, Dio ha dato dimostrazione della sua presenza. Gli ebrei sono il popolo eletto. Per i cristiani un suo figlio è sceso tra gli uomini.  Dunque anche la forma di scrittura cambia. Le immagini non scompaiono del tutto, anzi, rimangono fondamentali, ma queste sono costruite dalle parole stesse.  Qui addirittura si nota uno scarto fra ebraismo e cattolicesimo, dunque fra quello che è il nucleo ebraico della bibbia, il pentateuco, a base cabbalistica, e quelle che sono state le successive aggiunte del pensiero cristiano, soprattutto i vangeli, che parla per metafore (trasferimenti di un nome di una cosa ad un'altra cosa), cioè le espressioni figurate attrraverso il linguaggio.
La scrittura ebraica e cristiana sono dunque molto legate all'aspetto religioso. Pur mantenendo un distacco incolmabile con la divinità, come è anche quello degli egizi e dei maya, fra questi ultimi ed i primi vi è una differenza fondamentale: il dio ebraico e cristiano è rivelato. È dunque un Dio che non è inconoscibile: è possibile conoscerlo, pur tenendo conto dei limiti che la conoscenza dell'uomo ha rispetto a Dio. La scrittura ebraica dunque parla di Dio, ed usa le parole come immagini di Dio stesso. La scrittura cristiana, usa le metafore, immagini create dalle parole.
In questo caso, il Dio cristiano è, rispetto a quello ebraico, un po’ più vicino. Da qui la necessità dunque di creare delle immagini con le parole, in modo che il contenuto dell'insegnamento biblico potesse essere meglio recepito. È tuttavia da considerare che le scritture, fino alla "vulgata", sono state solo messe a disposizione dei sacerdoti. All'uomo comune non si sarebbero potute dare in mano le sacre scritture. Ma il messaggio era per tutti. A livello religioso, le differenze fra il cristianesimo e l'ebraismo, stanno nel riconoscimento di Gesù come figlio di Dio, ed il carattere proselistico di quest'ultimo a differenza della chiusura verso l'esterno del primo. Ancora di più, si nota dunque il carattere di vicinanza all'uomo del cristianesimo, con un "figlio di dio" che scende tra gli uomini, il Logos che si fa carne. Il Logos, da cui parte tutto: "In principio era il Logos". Questo distingue queste due religioni da quelle egizia e maya e quelle orientali. Il riconoscimento, fin dal principio, dell'importanza del linguaggio. L'ebraismo, rispetto al cristianesimo, mantiene un accesso diretto a dio che non può essere di tutti. Il contatto con dio è riservato ai conoscitori della qabbalah. Questa permette la "ricezione" (che è il suo significato letterale), del messaggio di Dio. I libri cabbalistici, mantengono uno stretto contatto col pentateuco. Dei cinque libri, sia per il carattere stesso della scrittura, sia per una serie di significati intrinseci, è possibile farne una lettura con diversi livelli di significato. Vi è il significato esteriore, quello autentico, quello mistico, e quello che sarà svelato nella notte dei tempi. La struttura della Torah trascende dunque quello che è il puro livello filologico. Sotto l'aspetto cabbalistico, l'immagine diventa fondante del linguaggio. Ogni parola, ogni frase, assume un significato diverso a secondo di dove è collocata. Addirittura, per dimostrare il legame con l'immagine, si può dire che diventa scrittura geometrica, fatta con i 10 numeri primordiali e le 22 lettere. Ognuna corrispondente ad un significato preciso. Questo conferma il duplice carattere del dio: nascosto da una parte, e quindi il bisogno di immagini, della qabbalah per comprenderlo, e il dio invece che è nel mondo, e quindi il significato letterale e superficiale delle scritture. Il dio della tradizione cristiana, è invece più universalizzato, si accosta al peccatore nella figura di suo figlio. È un Dio più vicino agli uomini, che ha bisogno di meno immagini per essere spiegato e visto.

La scrittura greca

La scrittura greca è quella della filosofia e della scienza. Ma è anche quella di una particolare forma di religiosità, la mitologia, il "racconto intorno a dei, esseri divini, eroi e discese all'aldilà", secondo la definizione di Platone. La parola unisce due termini per certi versi simili, ma anche profondamente diversi. Mythos, per omero indica "parola", "discorso"; anche logos può voler dire parola, ma anche discorso, oppure ragionamento. Quindi mito, come un discorso che non necessita di dimostrazione, mentre logos, come ragionamento razionale. Gli dei greci, hanno una distanza dagli uomini che è quasi nulla. La distanza che separa gli dei dagli uomini è quella di un monte. Gli uomini nella mitologia, possono relazionarsi con gli dei, possono sfidarli. Ci sono uomini che possono essere per metà dei. Zeus si accompagna con donne mortali. L'Ade è esplorabile dagli uomini. I miti greci sono storie reali e accadute, che tuttavia vivono nel racconto che se ne fa. Dunque il linguaggio greco è essenzialmente legato alla facoltà del ragionamento, ben rappresentato dalla figura di Socrate, colui il quale, consapevole del fatto che le parole non contengono al loro interno immagini, quando nei suoi dialoghi si relaziona con qualcuno, chiede di un termine di precisare in maniera netta quello che intende utilizzando quella parola. Parola ormai slegata dal concetto di immagine, e quindi col pericolo di essere fraintesa: diverso dunque dalla parola ebraica che si presta a molteplici interpretazioni, con diversi gradi di aderenza alla divinità ma tutti ugualmente veri; qui invece si corre il rischio di fraintendere, cioè non cogliere completamente quanto si vuole dire. 

La scrittura digitale

La scrittura digitale basa tutto sull'atomismo. Non c'è più spazio per alcuna immagine. È la scrittura univoca, dove non entra più a far parte l'uomo con la sua ermeneutica.
Iniziato dal "cogito ergo sum" di Cartesio, è il procedimento che procede attraverso la dimostrazione della verità attraverso la riduzione di tutto al modello logico-matematico. Tutto si riduce a vero/falso, I/0.  È la fine della narrazione, a favore dell'informazione. Da un lato si osserva la scomparsa dell'uomo a favore dell'automa, e dall'altro, l'ipersoggettività che fa diventare divino il "se stesso", con gli altri uomini al ruolo di oggetti. È, come dice Heidegger, la morte della filosofia, nata dalla progressiva demitizzazione dell'uomo nella cultura greca classica, per passare alla cibernetica, il sistema perfetto di catalogazione, la morte dell'ermeneutica e dell'uomo.
È un mondo dove non c'è spazio più per le antiche divinità, per la fantasia, per la filosofia, ma quel che è peggio, è che non c'è più spazio, nemmeno per l'uomo, se non per quello egocentrista o completamente automizzato.


giovanni giuseppe albano
(2/3 luglio 2002)

L'uomo—bestia



È nel corso degli anni '70 dell' '800 che nascono le "messe in scena" degli "spettacoli zoologici" dove sono esposti, come fossero animali, dei "rappresentanti" di popolazioni esotiche. Fa pensare il fatto che questa pratica sia iniziata in quella Francia che un secolo prima aveva fatto una rivoluzione per affermare i principi di "libertà, uguaglianza e fraternità".
«Dal 1877 all'inizio degli anni Trenta, milioni di francesi vanno a incontrare l'Altro. Un "altro" messo in scena in una gabbia.» [N. Bancel, P. Blanchard e S. Lemaire, Le monde diplomatique, il manifesto, sett. 2000].
Siamo in piena espansione coloniale, e la propaganda in questi casi non è mai abbastanza. Ma è soprattutto il periodo della teorizzazione di una scientifica gerarchizzazione delle razze.
Il mito del "buon selvaggio" viene messo da parte: non perché ora visto come cattivo, o meglio, non solo, ma questo "mito" lascia il posto alla scienza. Sono visti, dopo l'avvento del darwinismo sociale (che poco ha a che vedere con le teorie di Darwin), come l'anello di congiunzione fra la scimmia e l'uomo; ed in questa speciale "graduatoria", l'ultima piazza se la giocano gli aborigeni, e i "selvaggi" dell'Africa Nera. Vengono trattati, in base a stupidi pregiudizi, come e peggio degli animali. Sono "selvaggi", e questo diventa simbolo di bestialità: individui che seguono solo i sensi, libidinosi, sporchi. Due forme di razzismo vengono a commistione: quello scientifico, e quello popolare.  Quest'ultimo è quello che prende piede nell'immaginario collettivo attraverso l'iconografia, amplifica tutti i pregiudizi che circolano. Ma a questo, si aggiungono i pregiudizi che nascono nell'ambito del "sapere". Sono tre i fronti che convergono sull'uomo-bestia: positivismo, evoluzionismo sociale, razzismo. Ed è ancora in Francia che si deve cercare chi, porta a una organizzazione di tutte le teorie fino ad allora inerenti il pensiero sulle "razze": è Joseph Arthur de Gobineau, che fra il 1853, e il 1855 dà alle stampe il suo Saggio sull'ineguaglianza delle razze umane. È solo il compimento di un processo nato con l'uomo, quello del pregiudizio, e che nel '700 assurge a ruolo di scienza. Non bisogna dimenticare che anche nella Bibbia si parla in termini di una precisa distinzione delle genie di Cam (camiti) di Sem (semiti) e di Japhet.  Fra questi, a varie riprese ci si scaglia contro i semiti, contro gli Ebrei, ma ci si sofferma principalmente sulla "maledizione di Cam", il figlio che vide nudo suo padre Noè, ed il cui figlio Canaan fu maledetto dallo stesso Noè. La maledizione fu quella che si è poi realizzata. La genia di Cam sarebbe dovuta essere infima rispetto a quella di Sem e Japhet, e di queste sarebbe stata servitrice. Profezia avveratasi con la colonizzazione, cioè quando la vita di un uomo di colore valeva davvero nulla, e venivano comprati e venduti con meno riguardo di quanto fosse riservato agli animali. E tutto questo nel secolo dei Lumi.
Passando attraverso tutta la trattatistica medievale che vuole giustificare l'inferiorità dei neri portando come prova la bibbia, si giunge alla spagnola "limpieza di sangre", e travolgendo sotto i suoi colpi molto spesso anche gli Ebrei.
Lo scarto decisivo avviene col naturalismo, che trasporta credenze popolari e leggende, oppure racconti mitologici, come il mito di Fetonte, dannato da Zeus, che trova il paio nel racconto cristiano di Canaan, al livello di scienza. Infatti se da una parte questo trova la giusta via indicando la natura animale dell'uomo, tuttavia va molto oltre quando cerca di classificare razze diverse all'interno della specie umana. E non solo. Oltre a divederla in varie "razze", trova via via vari caratteri per operare la classificazione, pur rimanendo il principale quello del colore della pelle, e applicando poi alle varie razze, caratteri pregiudiziali. Carl Von Linné distingue quattro razze: europea, asiatica, americana, africana. Ognuna di queste razze ha caratteri distintivi esteriori di cui sicuramente il più lampante è il colore della pelle: bianca, gialla, rossa, nera. Ma Linné va più avanti: non si limita, infatti, a classificare gli aspetti esteriori, ma attribuisce ad ogni razza specifiche attitudini morali; l’Europeo è ingegnoso, pieno di inventiva, esploratore e governato dalle leggi; l’Asiatico è avaro, melanconico e si lascia governare dall’opinione pubblica; l’Americano (nativo) è irascibile, molto legato alle tradizioni, difficile da sottomettere alla leggi; l’Africano è scaltro, pigro, negligente, irresponsabile, sensuale, governato dalla volontà dei propri padroni e gli piace essere governato.
Come detto, col passare degli anni ci si allontana sempre di più da quel mito del "buon selvaggio" di rousseaouniana memoria, giungendo attraverso una lunga serie di nomi di "studiosi" e "teorie", a quella summa teorica che è il Saggio sulla diseguaglianza delle razze umane, di Gobineau. Di lì a poco, nel 1859 uscirà l'imponenete L'origine della specie per selezione naturale o la preservazione delle razze privilegiate nella lotta per la vita di Charles Darwin, che darà il via a quel fenomeno di darwinismo sociale, che vuole applicare gli stessi principi dell'evoluzione animale alla specie umana. In pochi anni, dalla totale derisione delle teorie di Darwin, si passa sic et sempliciter ad applicarle all'uomo.
Dopo l'accettazione di queste teorie, dunque il "materiale" da esaminare diventa di fondamentale importanza, e quindi,  questi veri e propri "zoo umani" oltre che diventare un'attrazione per i "curiosi", diventano il principale luogo di studio per gli scienziati. E tutto comincia a muoversi su un doppio binario: se da una parte è vero che queste persone vengono messe in gabbia come un animale selvatico, allo stesso tempo questo è camuffato come un amore per la scienza, importanza degli studi. Allo stesso modo la colonizzazione: i fiorenti tornaconti per gli stati e per le società colonizzatrici, sono "abbelliti" dal "nobile gesto" di portare civiltà a questi popoli rimasti sull'ultimo gradino della scala evolutiva. Tutto questo come se fosse una necessaria copertura umanitaria per gli orrori commessi. E questo ricorda la frase di una borghese inglese, che affermava: «sarà pur vero che l'uomo discende dalle scimmie, ma non diciamolo, che non lo si venga a sapere!». Un'ipocrita visione di un mondo che vuol mettersi in pace con se stesso. Auto nascondimento della realtà, osservabile ancora oggi.
Nuovi studi sono anche rivolti al miglioramento della "razza". È l'eugenetica di Georges Vacher de Lapouge. E anche gli ultimi residui di mito del "buon selvaggio", che ancora resistevano come curiosità verso l'esotico, lasciano spazio ad un'oscurantismo, al ritorno alle idee cattoliche medievali. A quel periodo risale l'associazione del "nero" alla maledizione divina (Canaan, che come segno del peccato del padre è raffigurato nero); all'associare l'imperfezione del corpo a tare originarie, come il simbolo del peccato. Persone diseredate che si vedono fin dalla nascita costretti al ruolo di emarginati, al ruolo di figli del demonio. E si assiste ad un ritorno a tutto questo, solo condito in salsa scientifica. Il selvaggio è visto come una bestia che ha il gusto del sangue. Che è "naturalmente" malvagio. Insieme a loro, negli "zoo umani" o nei baracconi viaggianti, vengono messi i freak, gli "scherzi della natura": gobbi, nani, giganti, macrocefali. Tutti insieme, tutti accomunati da un'unica condizione: l'essere "tarati", con qualcosa di mancante.  Con sempre una maggiore, colpevole aiuto della scienza. Con il ruolo di guida assunto dall'antropologia. Il Jardin cui fa riferimento il manifesto è quello della Société d'Anthropologie Français. Vari contributi vengono dalla fisiognomica, che dai caratteri esteriori vuole individuare i caretteri dell'uomo. Come non ricordare la criminologia di Lombroso, che voleva riconoscere i criminali dai suoi caratteri somatici?
Il selvaggio assume dunque un ruolo di minaccia, perché visto come una belva assassina. Negli "zoo" vengono costretti a far assistere al pubblico accorso, a scarificazioni, combattimenti, addirittura sacrifici umani. Vediamo come anche il connotato della loro presunta sessualità sfrenata viene ad assumere caratteristiche minacciose. Il rapporto fra "razze" rappresenterebbe un degrado biologico. E quest'altro argomento si innesta sul discorso iniziato da Johan Gottfried Herder, che col concetto di Wolkgeist, lo spirito del popolo, alla fine del '700 inizia a parlare di "caratteri distintivi di un popolo". Caratteri da preservare. E chi più dei rappresentanti del più basso gradino di umanità può minacciare un popolo? mettere in pericolo  la purezza del sangue? Ecco che tutti gli ingredienti dell'arianesimo sono serviti. È un concetto fondamentale questo. La riduzione dell'uomo a bestia, o peggio ad oggetto nocivo, spersonalizzato, sinonimo di malattia. Con l'affermarsi dei nazionalismi, questi caratteri razzistici diventano il collante del popolo. E dalla discriminazione e segregazione, si passa ai progetti di sterminio, come la storia ci ha tristemente dimostrato.
Sono caratteri che si possono vedere nella propaganda di cui il manifesto è la testimonianza. L'uomo-bestia ci minaccia, difendiamo le nostre donne dal suo seme maledetto, infetto, nocivo.
A chi crede che queste siano cose lontane dai nostri tempi, bisogna ricordare che l'"olocausto" è avvenuto poco più di 60 anni fa, e che prima degli Ebrei sono state uccise milioni e milioni di persone.
Il razzismo, l'intolleranza sono aberrazioni presenti anche ai giorni nostri. L'uomo-bestia viene ancora visto così: altrimenti allo stadio ai giocatori di colore non verrebbe fatto sentire il verso della scimmia; altrimenti i nativi americani non vivrebbero ancore nelle riserve; altrimenti i confini, invece di crearne di nuovi, si cercherebbe di abbatterli quelli che ci sono. Ed altri esempi si potrebbero fare.
Milioni di persone sono state uccise perché "altre" da noi. Uccise per sopraffazione, perché infedeli, perché eretici, perché ebree, perché islamiche, perché cattoliche, perché buddiste, perché di colore, perché avevano problemi mentali, perché avevano idee politiche diverse, perché pensavano. Persone uccise perché di un'altra "razza".
Ma perché, se anche ci fossero più razze di uomini, questo giustificherebbe l'essere superiori ad un'altra?
Milioni di persone sono state uccise perché "diverse".
giuseppe giovanni albano