Le case farmaceutiche e il loro spirito umanitario


[in occidente] «Vuoi una pastiglia?»
«No grazie, ho lasciato la carta di credito a casa»
["altrove"] «Vuoi una pastiglia?»
«Si ma torna domani, non ho i soldi, ma  oggi vendo la mucca»

di ioannes daimon polemos*

"Non pretendiamo di curare il mondo, ma i suoi abitanti si".
Questa è la frase ad "effetto" utilizzata fino a qualche tempo fa da una nota casa farmaceutica per pubblicizzarsi. Verrebbe da aggiungere una postilla: "non pretendiamo di curare il mondo, ma i suoi abitanti si … se pagano".
Il costo dei farmaci è una drammatica vicenda di cui purtroppo si parla ancora poco: non sono poche le persone che nel "civile" occidente, non possono permettersi cure con farmaci costosi. E come se non bastasse questo, c'è da dire che ci sono, addirittura, interi stati che non possono permettersi di acquistare farmaci per la popolazione. Sono paesi martoriati sia da malattie che noi occidentali non conosciamo più, ma anche da quella che è anche per l'occidente la maggior emergenza sanitaria conosciuta: l'aids.
Le case farmaceutiche, praticano una politica che si basa non sul valore, anzi il costo reale del farmaco: sarebbe troppo "umanitario". Questo perché i soldi investiti in ricerca rappresentano solo una parte delle voci segnate alla colonna delle spese, ed a conti fatti il farmaco costa quasi nulla. Infatti, i vari "ritrovati" di cui si fa uso per i medicinali, o sono antiche conoscenze popolari (oggi solitamente di popoli non occidentali: le nostre "nonnine", con i loro ‘decotti’ sono già state ampiamente saccheggiate…), di cui poi loro, furbescamente, depositano il brevetto. Oppure sono frutto delle ricerche sovvenzionate dallo stato, qualunque esso sia. Se si tiene conto solo di quest'ultimo dato, quindi, il contribuente paga già all'origine il farmaco, e dopo per venirne in possesso deve di nuovo lautamente pagare l'industria farmaceutica.
Per non parlare di quanto sarebbe dovuto ai paesi disagiati. Oltre ad utilizzare loro conoscenze, di cui quei popoli non vedono alcun beneficio, né a livello economico, ne tanto meno in termini di forniture gratuite dei farmaci, l'occidente non si mostra neanche un momento in debito verso popoli che hanno subito secoli di colonizzazione,  e subiscono ancora furti.
Come se non bastasse, le case framaceutiche conducono esperimenti sulle piante medicinali di queste zone, o si fanno svelare le conoscenze dei "sapienti" indigeni, e non appena trovano qualcosa che può loro interessare, ne brevettano il principio attivo. E, nemmeno a dirlo, per le popolazioni non c'è beneficio di sorta. Oltre al danno la beffa. E non solo. Se in India, grazie alle loro conoscenze di medicina ayurvedica, si usano impacchi di zafferano per le ferite, come antiemorragico, si può vedere che il brevetto di questa scoperte è stato depositato invece da due ricercatori statunitensi! Questo perché la legge americana e l'Organizzazione mondiale del commercio, non riconoscono validità alle scienze non occidentali. Solo dopo due anni di battaglie legali, con la presentazione anche di antichissimi testi orientali scritti in sanscrito, è stato possibile far cancellare quel brevetto e quel monopolio. Ma sono casi isolatissimi. Quante cause possono mai intentare contro colossi del genere, paesi anche meno ricchi di quello indiano, per salvaguardarsi dai brevetti pirata?
Le multinazionali non fanno altro che imporre i loro prezzi, naturalmente proibitivi. Anzi, addirittura sono ancora maggiori. L'amoxicillina, un comune antibiotico (il velamox che non manca in ogni casa), figura fra i farmaci fondamentali, ed il costo, ad esempio per il governo canadese è di 8 dollari per 100 capsule, mentre lo stato delle Filippine lo deve pagare 22 dollari!
Le case farmaceutiche si difendono dicendo che senza quei prezzi, senza i brevetti, i profitti non sono possibili, e quindi è impossibile fare ricerca.
«Come spiegare allora che i grandi produttori di medicinali - che incamerano profitti record - investono tre volte di più in marketing e amministrazione che in ricerca e sviluppo? (nell'industria farmaceutica americana il personale addetto al marketing è l'81% in più rispetto a quello destinato alla ricerca). (…) La verità? Resta chiusa nei libri contabili che le compagnie farmaceutiche rifiutano ostinatamente di aprire in nome del segreto commerciale. Quando a Pretoria il giudice sudafricano ha voluto ottenere dati precisi sulla politica dei prezzi, relativa agli antiretrovirali (che serve a rallentare il decorso dell'aids [ndr]), i trentanove industriali hanno preferito ritirare la causa.» [Philippe Demenet, in Le monde diplomatique, il manifesto febbraio 2002 ].
È dunque ipocrita il messaggio lanciato dalla casa farmaceutica? No, non c'è il posto nemmeno per l'ipocrisia. Non è né più né meno che una pratica dettata dall'interesse e dal calcolo.
Ma non possono, non devono esistere malati di serie ‘a’, e malati di serie ‘b’. Cioè malati che hanno i denari necessari, e che quindi hanno il "diritto" di curarsi, ed altri che invece, che non avendo denaro, non ne hanno il diritto.
È dagli anni '70 che l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), dà come obiettivo prioritario ai paesi più sviluppati economicamente, il raggiungimento di un livello sanitario che consenta una vita dignitosa a tutti: popoli disagiati e fascie indigenti "occidentali". L'obiettivo si era sperato di raggiungerlo entro il 2000. Al 2002, anzi 2003, invece, questo è  solo una speranza (speranza di chi?) lontana dall'essere concretizzata.

*Giovanni Albano

Nessun commento:

Posta un commento