Visualizzazione post con etichetta il campanile di Pignola. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta il campanile di Pignola. Mostra tutti i post

A PIGNOLA VII EDIZIONE DE "L'ALTRA FACCIA DI PENELOPE"

A PIGNOLA VII EDIZIONE DE "L'ALTRA FACCIA DI PENELOPE"

Anche quest'anno in occasione dell' 8 marzo, "festa della donna", a Pignola si tiene questa rassegna tutta dedicata all'universo femminile ed il suo artigianato.
Qual è però l'obiettivo che la rassegna si pone? Lo dice Bruno Mario Albano, presidente dell'Associazione culturale Il Portale, che organizza, insieme al Comune di Pignola ed all'A.P.T. Basilicata, la rassegna. "Ciò che qui si valorizza è l'abilità sommersa, che solo di rado, troppo di rado, diviene affermazione anche sociale e si sviluppa in imprenditorialità".
Ma chi è Penelope? La risposta è di Maria Schirone, sempre molto attiva nella preparazione dell'evento, ed è nelle parole tratte dall'introduzione al catalogo della V edizione della rassegna: "Penelope mite, rassegnata.... Ma solo lei sa l'altra faccia: Penelope caparbia, tenace, che sa dove e come condurre gli eventi; la tessitura del proprio tempo al proprio servizio e per un proprio disegno. A nessuno è consentito di intromettersi nel cuore di questa Penelope: laboriosa, certo, ma di una laboriosità che toglie il progetto della propria vita da mani estranee e ne tiene saldamente le redini nelle proprie...".
È dunque, questa, una manifestazione rivolta a tutte quelle donne che nella vita di tutti i giorni sono casalinghe, studentesse, insegnanti, che svolgono le attività più disparate, ma che hanno tutte quella vena artistica che, nei ritagli di tempo che le loro attività giornaliere le lasciano, le fa dilettare nella creazione di piccole opere d'arte; ed il fatto di non essere artiste affermate, non rende meno meritevoli di gloria le loro creazioni. Ma alla rassegna partecipano ogni anno anche artigiane o artiste che si possono definire "di professione".
L'attività di questa Penelope, di tutte queste donne, vengono ogni anno illustrate in un catalogo preparato dalla stessa associazione ed a cura di Maria Schirone.
Questa edizione, con un programma distribuito in tre serate, ha visto inoltre la presentazione del volume, curato dalla stessa Maria Schirone "Storie di Donne Lucane", con l'intervento di Ninni Fanelli, pres. della Commissione regionale Pari Opportunità. Nella serata conclusiva dell'8 marzo, è stata presentata la relazione dal titolo "La donna tra passato, presente e futuro", del prof. Franco Priore, introdotta da Anna Maria Basso e le conclusioni tratte dall'ass. del Dipartimento Attività Produttive e Turismo della ragione Basilicata, Rocco Vita.
(giovanni albano)

PERICOLO ELETTROSMOG A PIGNOLA?


di ioannes captivus dies

E così ora anche Pignola può vantarsi di avere la sua "bella" antenna di radiotelefonia. Per la Vodafone Omnitel, non si vedranno più persone alla disperata ricerca di "campo". [Si ha notizia di un cittadino a cui il telefonino prende solo in bagno: l'andata e ritorno da questo non è dunque diretta conseguenza di un'impepata di cozze o di una indigestione di castagne.] Ora basterà portare il telefono all'orecchio in qualunque luogo per avere la propria razione di onde elettromagnetiche.
Il Comune ha assicurato che tutto il possibile per evitare l'istallazione dell'antenna è stato fatto. Il decreto Gasparri del settembre di quest'anno sembra aver legato le mani alle amministrazioni comunali, che non possono opporsi all'installazione di un'antenna che, dal decreto è specificato, è un'opera al servizio della comunità, di interesse pubblico. Come dargli torto, pensando che sono rimasti in pochi quelli che non hanno un telefonino in tasca, e che da uno studio, risulta che otto italiani su dieci considerano dannose le antenne della telefonia, ma che solo uno su dieci rinuncerebbe al telefonino. Tuttavia questo non deve far dimenticare che siamo di fronte ad una materia, l'inquinamento elettromagnetico, di cui ancora si conosce troppo poco, o meglio si conosce tanto ma ci sono pochissime certezze.
Il tema è stato anche al centro di un recente dibattito tenutosi a Melfi, dove è stata fornita una buona documentazione sull'argomento. Era presente, fra gli altri,  Angelo Chimienti, noto ambientalista, che ha condotto indagini sui traffici nucleari tra Stati uniti, Iraq, Italia e soprattutto ha indagato sull'Enea, ma i risultati di tale indagine sono stati segretati. Collabora con l'Istituto universitario Ramazzini di Bologna, il più importante istituto di ricerca sul cancro. Ha condotto e conduce tutora importanti battaglie per la salvaguardia dell'ambiente e della salute di tutti noi.
Ci sono vari istituti che conducono ricerche sui possibili rischi dei campi elettromagnetici, italiani e non. Tutti sostengono che sia necessario eseguire altri e più approfonditi studi sull'argomento, ma l'aumento dei rischi tumorali, lo danno come un dato certo. O meglio, viene dato per certa la modificazione cellulare che, a lungo andare potrebbe provocare patologie. Sembra che la ricerca in questo senso non sia molto aiutata dal ministero della sanità, se è vero che Settimio Grimaldi, un ricercatore del Cnr, nell'ottobre del 1999 aveva chiesto un finanziamento per una ricerca in tale senso, ma questo fu bocciato. Tuttavia, nello stesso 1999 è stata emanata una circolare nella quale il Ministero per l'ambiente ha aumentato le misure di prevenzione contro l'elettrosmog a tutela dei bambini. Non possono esserci vicino alle scuole, asili nido e parchi gioco, emissioni di onde elettromagnetiche superiori alla soglia di 0,2 microtesla, il limite adottato in Svezia, un paese che da anni interra o sposta le linee elettriche vicino alle scuole. Sarà un caso, ma proprio in Svezia, l'incremento del numero delle leucemie infantili è cresciuto modestamente rispetto all'impennata avuta, invece, nei paesi che non hanno adeguata normativa in tal senso. Non sarà, per alcuni, una prova, ma è certamente un dato di fatto.
C'è bisogno, dunque, di studi completi e non di parte, cioè non finanziati dalle stesse compagnie telefoniche (non domandare all'oste se è buono il vino….), e inoltre, più informazione per i cittadini degli eventuali sviluppi della ricerca. Basti pensare che la Fondazione Marconi di Bologna, attraverso un suo ricercatore afferma che «gli studi condotti finora non giustificano l'apprensione che si è creata sugli effetti biologici dei telefonini…». Peccato che la suddetta Fondazione sia finanziata da (guarda un po’…) Tim, Omnitel e Wind. Bisogna ricordare che nel 2000 la Tim è stata condannata dall'Autority Antitrust per aver diffuso un opuscolo in cui si affermava che le onde elettromagnetiche non erano dannose.
In materia vale, infatti, il parere espresso nel 1998 dall'Istituto superiore di sanità e dall'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza, i quali affermano che bisogna procedere con la massima cautela nella trattazione dell'argomento, dove non è possibile esprimere un giudizio definitivo, negativo o positivo che sia.
Se questi due Istituti danno il beneficio del dubbio, non sembra fare altrettanto l'Organizzazione mondiale della sanità, che d'altra parte si basa  su prove eseguite in laboratorio, per la quale fa testo un promemoria dal titolo "Campi elettromagnetici e salute pubblica, Effetti sanitari dei campi a radiofrequenza", nel quale si legge che «sulla base della letteratura attuale, non c'è alcuna evidenza convincente che l'esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza abbrevi la durata della vita, né che induca o favorisca il cancro». Sembra questo, tuttavia, un atteggiamento di chiusura esagerata, considerando la mole di materiale portato fino ad adesso da istituti importantissimi che quanto meno, pur non affermano certezze, mettono in guardia da possibili rischi. Cautela usata anche dal dottor George Carlo, coordinatore del programma di ricerca americano Wtr (Wireless Technology Research), finanziato anch'esso dall'industria statunitense dei cellulari. Anche lui, pur non facendo cosa gradita ai suoi finanziatori afferma, che è meglio agire con molta cautela, specie per quanto riguarda i bambini, considerando anche il fatto che gli utizzatori di cellulari sono centinaia di milioni, e gli eventuali rischi coinvolgerebbero una fetta grandissima di persone.
È vero che per il diritto, nell'incertezza si è innocenti, ma in certi casi, il beneficio del dubbio deve lasciare al più presto il campo alla certezza.
Diceva uno spot di un po’ di tempo fa, "prevenire è meglio che curare". È bene che allora si faccia "un po’" di attenzione quando si parla della salute dei cittadini. Non bisogna dimenticare l'esempio dell'amianto, usato a profusione fino a quando non si è venuti a conoscenza della sua pericolosità. Quanto si sta spendendo, negli ultimi anni,  per rimuovere tutto l'amianto che per anni è stato utilizzato? Quindi se un domani si dovessero davvero avere certezze sulla pericolosità delle onde elettromagnetiche, quanto costerebbe riconvertire e smantellare quanto fatto fino ad adesso?

I GATTI BLU DEL BLUES



Partire da Potenza alla conquista dell'Italia. Non è un sogno e nemmeno una favola, e nemmeno il proclama di nuovi conquistatori. È una realtà che ha un solo nome: Blue Cat Blues. I Gatti Blu del Blues. Ma non si può dire che siano partiti gatton gattoni, visto che in meno di due anni ha bruciato tutte le tappe.
Ma da chi è composto questo gruppo che suona un blues d'altri tempi e che se ne va in giro per l'Italia a riempire piazze e locali e a fare incetta di riconoscimenti ambiti? Sono Donato "St.Louis" Corbo (chitarra) di Possidente,  Pasquale "ZooSax" Aprile (sax) di Nola, Tonino "il Cobra" Dagrosa (basso), Frank Fabrizio (piano) e Andrea Boffa (batteria) di Potenza, capitanati dal carismatico Rosario "Sonny Boy Williamson III" Claps (voce, armonica e washboard) di Pignola. L'ultimissima, immensa soddisfazione che il gruppo si è tolta, è stata quella di esser usciti vincenti, insieme ad altri nove gruppi provenienti da tutta Italia, ad una selezione indetta da Rete 4, e questo permetterà loro di partecipare ad una kermesse estiva realizzata da questa stessa emittente. I participanti alla selezione erano più di duemila, ma il gruppo potentino  è riuscito a spuntarla. Tutto questo tenendo conto delle difficoltà oggettive che il gruppo, nato soltanto due anni fa, deve continuamente affrontare, rispetto ad altri gruppi di altre parti d'Italia. Non è infatti neanche lontanamente possibile paragonare la scena musicale potentina rispetto a quella che possono vantare città "metropolitane" come Roma, Milano, Napoli, o Torino, oppure città come Bologna che vantano una grandissima tradizione musicale. Quindi tanto di cappello a questi ragazzi che sono riusciti ad emergere partendo da una città come Potenza che offre pochissime opportunità e spazi.
L'avventura dei Blue Cat Blues inizia nel 1999, quando il gruppo, messo insieme dal frontman Rosario, inizia a girare un po' tutta la regione. Ma per loro la svolta, come conferma lo stesso gruppo, avviene nel 2000 al Pignola Blues Festival, quando danno vita ad un ottimo spettacolo esibendosi insieme a Mick Abrahams, storico chitarrista dei Jethro Tull. Da quel momento in poi i confini regionali andranno stretti alla band, che va via via arricchendosi di esperienza e soprattutto di collaborazioni importanti, che fanno sempre più divenire imponente lo spettacolo offerto concerto dopo concerto. Fra i tanti con cui si sono esibiti, oltre al già citato Mick Abrahams, ci sono i Creedence Clearwater Revived, i Friendly Travellers di New Orleans, James Thompson (sassofonista che collabora con Zucchero), Cheryl Porter, Jaime Dolce (chitarrista newyorchese di origini pignolesi), Roberto Ciotti, Paolo Ganz, Aida Cooper,  Vince Vallicelli, Blue Stuff, ma si potrebbe continuare ancora. Nel marzo del 2001 hanno fatto da band d'apertura per il concerto dei Jethro Tull, e sempre in marzo, Rosario, seguito dal suo gruppo, è riuscito a portare il suo amplificatore pitonato alla Fiera della musica di Rimini, importantissima vetrina non solo a carattere nazionale, ma europeo.
Ora, dopo l'affermazione nell'importante manifestazione canora di Rete 4, si aprono nuove e felicissime prospettive per il gruppo. Sono infatti stati notati in quella occasione dalla FM Management, di Fabio Mandarà e Viviana Guarnieri, già produttori dei Velvet, pop band emergente nel panorama musicale italiano. Le nuove prospettive sono rappresentate dalla messa in cantiere di un album che conterrà solo pezzi di propria produzione. Il loro spettacolo infatti offre già numerosi pezzi composti dalla stessa band, che completano l'esibizione con coverdi pezzi attinti dalla storia del blues, da B.B. King a Cab Mo' a Taji Mahall. Tutti pezzi country-blues, mentre i brani composti dalla band hanno un taglio un po' più funky.
Nel panorama italiano non sono paragonabili a nessun altra blues band, ed a detta del suo leader, sono solo in parte accostabili alla produzione più blues di Zucchero o ai primi lavori di Pino Daniele. Se proprio bisogna fare un paragone, il gruppo sceglie gli americani Chicago Blues.
La loro ricetta per fare buona musica è "semplice": Peace, Love e Succo di Blues. Ed anche se non sono (ancora) musicisti a tempo pieno, la loro vita è fatta solo di blues. Il nome scelto per il gruppo, è quello di un locale di Dallas dove suonava Steve Ray Waughan. Il loro blues è genuino, non dà alcuno spazio all'elettronica, è molto "artigianale". A riprova di questo c'è da aggiungere che sono una delle pochissime band che utilizzano la washboard, letteralmente "asse per lavare", ed è un vero e proprio asse, di quelli che si usavano per lavare gli indumenti a mano, e suonato con due cucchiai; strumento questo, che dà uno "stile" molto country.
Ogni settimana il gruppo è in giro per l'Italia dove fa sempre il suo bel pieno di applausi. Hanno inoltre preparato un sito (www.bluecatblues.it) che in soli otto mesi ha già registrato migliaia di  contatti, e questo lascia intendere, di come riscuotano successo ovunque vadano, tanto da far nascere la voglia di saperne di più su questo gruppo che speriamo che riesca sempre più a portare un po' di Lucania in Italia e perché no, in Europa e nel mondo.
(giovanni albano)

LASCIAMO LE ALI AI BAMBINI


di ioannes hetairos paidofagos

"…potete prenderci tutto, ma lasciateci le ali…". È un verso di una canzone di Francesco Guccini, quello che ha ispirato Rosaria Troisi e Lilly Ippoliti per la scelta del titolo del libro Lasciateci le ali. La presentazione del libro, il 26 ottobre, è stata organizzata, a cura dell'associazione stessa nella sede de "Il Focolare". All'incontro erano presenti le due autrici.
La storia raccontata nel libro, è semplice e complessa allo stesso tempo, delicata e forte contemporanemente. È semplice come solo le storie dei bambini possono essere, e qui c'è la storia, ci sono le storie vere di due bambini, Riza, kosovaro, e Maria, napoletana, che casualmente si incontrano, ma non a caso diventano amici. È complessa per la difficoltà della tematica affrontata. Sono riassunti in essa la tragedia di una guerra, la paura di una fuga, lo spaesamento in un paese che non è quello delle proprie radici. È delicata come il cuore di questi bambini che si incontrano, si capiscono e si donano amicizia. È forte perché con la loro sola amicizia, riescono a far cadere tutte le diffidenze che in loro non erano nate, ma nei "grandi" si. È una storia che parla di bambini, parla con il linguaggio dei bambini, ma la dovrebbero ascoltare i "grandi".
I sentimenti che attraversano il cuore dei bimbi, sono puri e non hanno bisogno di essere stimolati. Lo devono essere quelli dei genitori, dei maestri, che non sempre li caricano di atteggiamenti positivi. I piccoli, a cui viene sempre spontaneo agire nell'unico modo che conoscono. Da bambini. Con il cuore puro. Anche di fronte ad un argomento difficilissimo da comprendere come può essere quello della guerra e della fuga.
È difficilissimo spiegare a dei bambini cos'è una guerra. La potrebbero immaginare come "quella cosa" che si vede, spesso, in televisione, o come "quell'altra cosa" che si può fare con un videogioco. E la fuga. Come spiegare che ci possono essere degli uomini, delle persone, dei bambini, costretti a dover abbandonare le loro case, le loro terra. Tutto. Tutti i loro (pochi) giochi, ma anche le loro certezze, le loro speranze. Le certezze date da una famiglia che i più sfortunati non avranno più la possibilità di rincontrare, la certezza di avere poco, ma di avercelo, e la speranza nel futuro che solo gli innocenti occhi di un bambino possono avere. Tutto questo viene spazzato via da pochi colpi d'artiglieria. Che fare allora. Ecco una nuova speranza, quella dell'immigrato che fugge, di trovare in un altro paese, non le certezze già belle e pronte, ma quanto meno la possibilità di ricostruirsi una vita e di tornare ad avere qualcosa a cui aggrapparsi. Quanto meno di far ritornare i bambini ai giochi. Donargli la possibilità di ritornare a sperare.
In fuga da condizioni di vita estremamente difficili, ci si imbarca per un viaggio dagli esiti tutt'altro che scontati. Quali difficoltà si incontrano nel paese d'arrivo, quale diffidenza nei loro confronti, quante porte chiuse. Si opera un distinguo, in quest'Europa che si mostra ben accogliente nei confronti di "cervelli extracomunitari", che portano il loro bagaglio di conoscenze acquisite nei loro paesi a spese di altri governi e riescono a trovare delle borse di studio che permettono di inserirsi nella realtà europea e nel mondo del lavoro, mentre invece i rifugiati, i profughi, vengono visti come un inutile fardello che in parte, si rispedisce a casa, ma senza nemmeno troppa convinzione, visto che queste stesse persone, che per lo stato sono fuori legge, vanno ad occupare quei posti di lavoro dati a condizioni inaccettabili per qualunque "civile" europeo. Lavori che però qualcuno dovrà pur fare, e quindi se ne mantengono sempre in numero sufficiente a coprire il "fabbisogno". Ma questi, purtroppo, ingrossano anche le fila della malavita. Ma questa però pare a molti di noi, una cosa già connaturata nel loro dna. Quando si parla della chiusura dello stabilimento di una casa automobilistica, siamo tutti convinti che un fatto del genere potrebbe costringere molti a darsi alla criminalità. Se però parliamo di rifugiati che fuggono da una guerra o da una persecuzione, questi sono "già" ladri e non farebbero altro che proseguire qui in grande stile quello che già facevano nel loro paese. Nessuno dubita che ci possano essere elementi del genere, ma non si può, non si deve generalizzare.
Purtroppo l'Italia non è immune da una diffusa, latente "paura" dello "straniero". In un paese come questo, da sempre attraversato, addirittura crocevia di culture diverse, le più disparate e le più lontane fra di loro! Inoltre siamo stati anche noi popolo "migrante". Ma forse ce ne si dimentica troppo spesso. Ci si dimentica che negli Stati uniti siamo stati i macaroni, i wop (americanizzazione di ‘guappo’), in sud America eravamo i gringos, in Francia i surineurs (coloro che accoltellano alle spalle), tutti nomi che non venivano certo usati come complimenti! Eppure in proporzione chi ingrossava le fila del crimine erano pochissimi. Si lavorava duramente ed in condizioni schiavistiche eppure, purtroppo, si veniva spesso associati alla criminalità!
La situazione, per non andare troppo lontano, sembra quella che trovavano i meridionali al nord. Quello che si rinfaccia a questi "stranieri", è la stessa cosa che veniva rinfacciata a noi. In uno studio del 1962 del Centro ricerche industriali e sociali di Torino (in Dis-crimini, di Marcella Filippa, SEI, 1998), si può notare come uno degli stereotipi più diffuso fosse che i meridionali andavano lì senza saper fare niente, e che pretendessero di essere mantenuti dai settentrionali. Oppure venivano considerati dei ladri, dei violenti!
Forse, invece, bisognerebbe cercare di abbandonare tutti gli stereotipi, e porsi davanti allo "straniero" con gli occhi "aperti" e il cuore sgombro dei bambini, e da loro cercare di imparare qualcosa.
Per concludere tornando al tema iniziale, non bisogna, forse, raggiungere il limite estremo di Ezio Vendrame, un calciatore classe 1947, il quale vorrebbe i bambini «tutti orfani, perché i ragazzini capiscono tutto. Sono gli adulti che non comprendono», ma se tutti cominciassimo ad ascoltarli un po’ di più invece di fargli discorsi per lo più incomprensibili, forse, anzi, sicuramente si starebbe tutti un po’ meglio.
Lasciamo le ali ai bambini. Lasciamoli volare. La strada ce la indicheranno loro.