Il linguaggio tra pensiero analogico e digitale 20020702/3



 [Base testuale: Tra analogico e digitale. La concezione del tempo e le forme della scrittura in il filo di Sofia, di Anselmo Grotti e Domenico Massaro]

a cura di giovanni giuseppe albano





Inoltre

La scrittura e la distanza dal divino,
dai geroglifici alla scrittura digitale

di giovanni giuseppe albano

 

 

 

 

 







 

Dove prendere le parole

È importante rispondere alla domanda: siamo liberi quando parliamo? Sarebbe facile rispondere di no, se si vivesse in un regime totalitario, dove le uniche parole ammesse sarebbero quelle del regime. Ma esistono varie sfumature al concetto di libertà di espressione. È innegabile che in tutto questo trovino ampio margine di agire, in società non totalitarie, i vari mezzi propagandistici e pubblicitari. Se così non fosse, la voce marketing non sarebbe quella più importante nella colonna delle spese delle aziende.

La pubblicità

Si può affermare che la pubblicità detta i ritmi di produzione. Le tecniche utilizzate sono relativamente semplici: il marchio e la ripetitività. Il marchio, che permette il facile passaggio mentale da questo all'oggetto. La ripetitività ha una doppia funzione. La prima è quella di raggiungere tutti. Si calcola, che mediamente in un giorno siamo "colpiti" da 2500 informazioni pubblicitarie, e che invece ne riusciamo, al termine della giornata a ricordarne il 5%; questo significa che la dispersione è del 95%, quindi solo con un continuo "bombardamento" la pubblicità riesce a rientrare in quel 5%. La ripetitività, che opera come la goccia d'acqua sulla roccia: lentamente, ma inesorabilmente questa è vinta. Così opera la pubblicità. Adottando un linguaggio che è semplificato al massimo, e tramite l'ausilio di slogan, prima che l'oggetto entri consapevolmente nella nostra testa, è creato il circolo vizioso del richiamo alla memoria. Quanti slogan pubblicitari ormai si conoscono quasi meccanicamente? Quindi, ad un certo punto, diventa meccanico anche il riferimento al prodotto. E quando si entra in un negozio, il primo slogan a venirci in mente, orienta la scelta. Naturalmente il primo a venire in mente sarà quello che più degli altri è venuto incontro alle "aspettative" della persona: chi è sensibile al fascino femminile, al momento di acquistare una birra, ad esempio, nell'indecisione (cioè che non è un particolare estimatore di un determinato prodotto), se gli verrà in mente "la bionda" ragazza che la reclamizza, allora la scelta sarà orientata in quella direzione. Sembra un modo semplicistico di liquidare l'argomento, ma non lo è: se l'80% dei prodotti destinati al pubblico maschile, hanno per protagoniste donne, evidentemente i produttori, a livello statistico, hanno notato che questo è il metodo migliore.
Il continuo sviluppo dei mezzi di comunicazione, è coinciso con un esponenziale affinamento delle tecniche pubblicitarie. Non esiste luogo "comunicativo" che non è in un certo senso controllato dalla pubblicità. L'utopia di internet, come luogo di libero accesso e indipendente fruizione, cade al momento della lettura del contratto che si sottoscrive con un qualsiasi gestore. Loro hanno l'autorizzazione a poter vedere quali sono i siti di preferenza, e inviare pubblicità adeguandosi di conseguenza.
«In passato la libertà d'espressione faceva paura alle dittature, che incarceravano gli scrittori, censuravano la contestazione, bruciavano i libri controversi. (…) per schiavizzare l'umanità, la pubblicità ha scelto il basso profilo, il piglio morbido, la persuasione. Quello in cui viviamo è il primo sistema di dominio sull'uomo contro il quale anche la libertà è impotente.» [Frédéric Beigbeder, citato da Ignacio Ramonet in Le monde diplomatique, il manifesto, maggio 2001]

Il linguaggio

Pur mettendo da parte tutti i possibili modi di condizionamento, è il linguaggio stesso che in un certo senso limita il raggio d'azione. Per comunicare, abbiamo bisogno del linguaggio, e questo non sempre ci mette a disposizione i termini adatti. La lingua non la creiamo giorno per giorno, nel modo in cui noi riteniamo "comodo", il linguaggio è sempre utilizzato da una società. Se questa ha bisogno di un termine, lo crea, ma la sua utilità è sempre esteso ad un'ampia cerchia di persone. Potremmo anche noi ogni giorno coniare parole nuove, ma non potremmo avere la pretesa di essere capiti nel momento in cui vogliamo comunicare.
Anche la specificità e la genericità dei termini è creata da un sistema che vive con noi, ma allo stesso tempo lontano da noi. A chi è appassionato di pittura, forse piacerebbe avere un nome per ogni tipo di colore nato con una diversa gradazione delle tinte, e sarebbero infiniti. Invece i colori sono divisi per classi, ed eventualmente si conoscono pochi colori che hanno un "nome proprio" (ad esempio i vari tipi di grigio: topo, fumo di Londra, canna di fucile). Ma non esistono milioni di nomi per indicare i colori. Non avrebbe senso per la grandissima parte della società. Un altro esempio è anche dato dai vegetali, tutti classificati in ambito scientifico. Chi è appassionato di botanica, avrà una conoscenza vastissima di tutti i tipi di piante, ma questo non è un fenomeno di grande portata. Quanti tipi di piante conosciamo? Un numero sicuramente ridotto. Quindi il linguaggio è venuto in soccorso a questa esigenza, creando una serie di termini generici che racchiudono in grandi classi le piante: albero, arbusto, conifere, cespuglio, rampicanti, grasse.
Il linguaggio cambia anche in base alla tecnologia. Per riprendere il tema dei colori, se non ci fosse stato un progressivo controllo delle tecniche di produzione di coloranti e vernici, non ci sarebbe stato neanche la necessità di creare quei nomi di colori che altrimenti sarebbero rimasti tutti racchiusi  nelle classi, ad esempio del grigio o del giallo. Allo stesso modo, nei popoli tropicali, dove l'abbigliamento è ridotto al minimo, non esiste la necessità di distinguere fra mano e braccio, o fra piede e gamba. Quindi solo nel momento della necessità di distinguere o evitare ambiguità si sviluppano termini capaci di operare eventuali distinzioni. Ma il fenomeno deve essere di larga portata, ed "accettato" linguisticamente dal resto della società.

I valori del linguaggio scritto e del tempo

La distinzione principale compiuta dal Grotti consiste nell'assegnare al linguaggio tre valori: geroglifico, ieratico e demotico.
Nel linguaggio geroglifico, la parola sta al posto della cosa rappresentata; è il meccanismo della scrittura che riproduce, stilizzandola ciò di cui vuol parlare. Nella scrittura ieratica, vige un forte alone di sacralità; qui la parola rimanda alla cosa, si ha la percezione del fatto che la parola è "altro" dalla cosa, ma vi rimanda. La scrittura demotica, è quella popolare, utilizzata nei contesti quotidiani e pratici; qui la parola sta al posto della cosa.
In pratica la scrittura ha subito un continuo processo di smaterializzazione, fatto riscontrabile anche vedendo i supporti utilizzati. Volendo seguire una linea temporale si può affermare che mentre la scrittura geroglifica era scolpita o disegnata sulla pietra, come gli egizi, quella ieratica si avvaleva di un supporto anch'esso molto resistente come la pergamena. Progressivamente si indeboliscono i supporti con l'altrettanto progressivo smaterializzarsi della "parola", fino a giungere alla carta, fatta di stracci anticamente,  fino alla carta di pasta legnosa, che dura, relativamente agli altri supporti, poco. L'ultimo stadio raggiunto è quello del bit. Non si usa nemmeno più la carta se un documento non lo si vuole stampare. La scrittura diventa una lunga successione di lettere digitali che si vedono comparire sullo schermo di un computer.
In relazione al linguaggio vi è la concezione del tempo.
Il tempo può essere non sequenziale: con questa concezione, gli eventi semplicemente "accadono"; si può far coincidere con le società arcaiche di raccoglitori e cacciatori. C'è da dire che comunque un minimo di ciclicità deve pur essere percepita, quella dovuta dall'alternarsi del giorno e della notte. Comunque in questo tipo di società, non vi è il rapporto di causa-effetto. Si sa che arriverà il giorno, che il sole nascerà, nient'altro.
Il tempo sequenziale è quello in cui si ha la percezione dello scorrere del tempo, c'è la cognizione della causa-effetto. Questo a sua volta si suddivide in tempo ciclico e lineare. Il tempo ciclico è di quelle culture che hanno la cognizione del fatto che ad intervalli stabili un evento si ripete: è il tempo delle società fondate sull'agricoltura e all'allevamento, dove la concezione dell'arrivo delle stagioni fa sì che si programmi a lunga scadenza. Si semina in autunno perché si sa che arriverà l'estate per raccogliere. È anche il tempo dell'antichità classica: il mondo tratto dal caos dai demiurghi, ma sapendo che vi potrebbe ritornare. Si è legati al meccanicismo dell'universo fisico: è un processo continuo di nascita e distruzione che non avrà mai fine.
Il tempo lineare è invece quello che spezza l'universo fisico, spezza il meccanicismo. È legato alla concezione ebraica di creazione dal nulla. Il mondo è creato, non è il frutto di trasformazioni. Si crea il punto di inizio, ed il tempo scorre da lì, lungo una linea, e non su un cerchio.

Il linguaggio scritto e il linguaggio verbale

La scrittura non è solo la trascrizione del linguaggio parlato. Le sue dinamiche si può dire che corrano in modo parallelo, e non univoco. Principalmente perché sono diverse le dimensioni dove agiscono
Il linguaggio verbale si svolge nel tempo, e fondamentale è la memoria: solo ricordando le parole di chi ci parla possiamo ricostruire il significato di quanto ci è detto. La scrittura invece insiste nello spazio. Lo spazio è dove la scrittura diventa tale: può essere una pietra scolpita come un libro, ma la scrittura ha bisogno dello spazio per esistere.
Analizzando il linguaggio, bisogna tener conto del fatto che la scrittura non è un parlare riversato su carta. Le dinamiche attivate sono diverse. Sono altri i meccanismi che si attivano nel momento in cui parliamo con qualcuno, oppure se leggiamo un suo scritto. Nel linguaggio parlato entrano a far parte azioni partecipative, come la gestualità, l'espressività, il tono della voce, che fatalmente, con la scrittura non si possono riprodurre.

Modi di scrittura

In generale le lingue che utilizzano immagini si scrivono dall'alto verso il basso, quelle che invece rappresentano suoni, si scrivono orizzontalmente. Queste a loro volta si dividono in base alla direzione di scrittura, da destra a sinistra quelle che non hanno vocali, e viceversa quelle che invece le hanno nel loro alfabeto. Alcuni studiosi sostengono che questo possa essere derivazione dalle funzioni che sono attivate dal cervello al momento di leggere una scrittura con o senza vocali, da sinistra la prima e da destra la seconda. Nel primo caso si ha una percezione del linguaggio come qualcosa da capire passo dopo passo, con un'attenzione che si sofferma su un singolo elemento alla volta. Nel secondo caso, la mancanza di vocali fa sì che della parola si debba avere prima di tutto uno sguardo globale, altrimenti si correrebbe il rischio di non capire quanto si sta leggendo. Sempre secondo gli studiosi, il verso della scrittura è dettato dall'emisfero cerebrale che per primo entra in funzione al momento della lettura: l'emisfero sinistro, quello dell'approccio globale, si mette in funzione scrivendo verso sinistra.
Secondo questi studiosi, dunque, l'introduzione delle vocali, all'interno dell'alfabeto greco, avrebbe provocato un radicale cambiamento delle funzioni specifiche del cervello attivate al momento della lettura, mettendo da parte l'approccio globale a favore di un approccio atomico.

Il digitale e l'analogico

Computare ed informare

Il modo di pensare è modellato dal linguaggio che abbiamo a disposizione, ma è anche vero il contrario, e cioè che il nostro linguaggio è modellato dal nostro pensiero.
Computare viene dal latino, e significa calcolare, contare. Da qui dunque, attraverso il francese e l'inglese, la parola computer. Informare, vuol dire dare una forma. Da qui, informatica, cioè la tecnica dell'elaborazione automatica dei dati
La distinzione dei due termini, può dar atto ad un'altra divisione, a due differenti tradizioni di sapere, a due sistemi di apprendimento, di conoscenza: digitale ed analogica. La conoscenza digitale rimanda alla visione della natura come un universo matematico, dominato dalla metodica misurazione. Il digitale fonda il suo principio sul fatto che le grandezze, possono essere ridotte ad un sistema alfanumerico, o, più spesso ad un sistema binario. Digitale (dal latino digitus, dito), è usato in contrapposizione ad analogico.
Analogico deriva dal greco analoghikos, ed indica una relazione di somiglianza. Analogico, a differenza di digitale, si riferisce a quei sistemi che hanno alla base i modelli fisici, ma che sono modelli di altri fenomeni e di cui, per analogia, ne simulano l'andamento. Gli orologi mostrano bene la differenza. Una pendola usa per analogia, il modello fisico che regola il moto di un pendolo; l'orologio digitale è quello al quarzo: non c'è alcun modello fisico, ma solo un elaboratore che trasforma le grandezze in cifre da mostrare sul quadrante.
Ma sono i modelli culturali che possono essere associati a questi che cambiano. Se il digitale punta alla verità attraverso l'esattezza delle misurazioni, con la matematica, con la quantificazione, il modello analogico, perché procedente per allusioni, lascia lo spazio all'interpretazione, all'ermeneutica.
Un esempio di conoscenza "digitale" è il "metodo" cartesiano, dove l'evidenza è la regola della verità. L'evidenza si raggiunge attraverso la scomposizione in atomi, dove poter agire con la logica binaria del vero/falso, e di rimando quindi alle grandezze scomposte in I/0 della tecnologia digitale. Un esempio invece di conoscenza di tipo analogico, è quello della tradizione delle scritture cristiane, gli exempla medievali e l'ermetismo dove l'iniziazione del soggetto è condizione unica per accedere alle forma del sapere, o, per estensione l'ermeneutica novecentesca, dove l'interpretazione è fondamentale. Il metodo digitale dimostra i suoi limiti nel momento in cui ha a che fare con grandezze che non sono le sue: ad esempio la fantasia. Come potrebbe la logica "giudicare" Pinocchio? Naturalmente falso, se dovesse solo tener conto del fatto che Pinocchio sia esistito oppure no, e pronunciarsi sul fatto che sia un personaggio reale oppure no. Tenendo conto del contesto, invece, cioè che il suo luogo d'azione è il regno fantastico, allora vediamo che Pinocchio, non meno del Capitano Nemo, sono personaggi altrettanto esistenti ed altrettanto capaci di influire sulle nostre scelte.

Esperienze sul linguaggio

Arnold Schonberg

Musicista ebreo, e quindi attraversato da tutte quelle che sono le tensioni filosofiche sul linguaggio per l'ebraismo. Ebraismo che vede nelle parole una doppia azione, la "dicibilità" e la "trascendenza", con parole che se da un lato dicono, dall'altro invece nascondono; ma più che nascondere, rendono bene quella che è l'indicibilità di Dio. Opera che dà l'idea di questa duplice tensione è Mosè e Aronne, nel quale Mosè, diventa consapevole dello scarto esistente. Le due figure rendono l'idea della duplicità: Mosè, in contemplazione estatica, silenziosa; Aronne che invece vede nel parole, nelle immagini, il continuo bisogno di religiosità. Il silenzio sembra a Mosè la miglior via per "toccare" Dio, ma è Dio stesso che propone al suo popolo immagini e parole. Davanti a questa contraddizione, Mosè distrugge la tavole della legge. Non quindi per l'infedeltà mostrata dal popolo creando un idolo, il vitello, ma perché sente la contraddizione di un linguaggio che vuole comunicare la verità negando se stesso. Mosè è l'idea, Aronne l'azione che dovrebbe esprimerla. Saranno entrambi sconfitti. Aronne tradisce il compito e muore, ma Mosè conclude con pesantissime parole: «Parola, parola, tu mi manchi». Una conclusione che non lo è, visto che l'opera rimase incompiuta (nella parte musicale, mentre l'opera letteraria dello stesso Schonberg si), ma che forse per questo assumono un valore ancora più simbolico.

Edmund Husserl

Husserl scrive La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. Ma gli anni '30 sono anni ricchi per la scienza, che raggiunge notevoli traguardi, ma con esiti a volte catastrofici. La crisi a cui fa riferimento, non si riferisce all'efficienza delle scienze. Ciò che vuole mettere in luce è la sua crisi di orizzonti, un'accusa al "razionalismo erroneo", che non vuole comunicare la verità, ma la vuole dimostrare. Vuole rendere visibile la fallacità delle "scienze di fatto", che creano gli "uomini di fatto", escludendo il reale orizzonte che dovrebbe riguardare l'uomo e di rimando la scienza, cioè i problemi del senso e del non senso dell'esistenza umana. Un allontanamento devastante dal soggetto, in nome di un'imparzialità che, di fatto, elimina l'uomo dal suo campo visivo. In un certo senso un tipo di conoscenza contrapposto alla magia, dove chi compie il rito ha importanza fondamentale; l'impersonalità invece della scienza sperimentale vuol trovare nell'oggettività il fondamento della sua validità. Principio dello sperimentalismo è che chiunque può ripetere "l'esperimento" senza che questo modifichi il risultato. Solo a queste condizioni il metodo sperimentale dimostra la sua validità, la sua verità. Sono questi i limiti del pensiero calcolante, che procede per "regole" già date, in una totale asetticità. È in questo che Husserl riconosce la crisi delle scienze europee. È la crisi del positivismo, e la propugnazione di una fenomenologia che rimetta al centro del suo pensiero l'uomo.

Michel Foucault

Nel libro Le parole e le cose (1998), Foucault, si scaglia contro la boria positivistica del ridurre tutto a categorie, riprendendo un'immagine di Borges, di un'enciclopedia cinese dove gli animali si dividono in una serie di categorie che farebbe venire i brividi a qualunque positivista. Non a caso Borges aveva scelto la Cina, dove il tipo di scrittura iconografica, a differenza di quella alfabetica, non permette una precisa collocazione spaziale delle cose. La scrittura alfabetica è una scrittura lineare e stabile, che crea un reticolo, in cui le cose sono disposte, e che allo stesso tempo rappresenta la griglie attraverso cui guardiamo le cose stesse.
Fino al XVI secolo, il pensiero era analogico, basato sulla somiglianza. È questa che ha guidato secondo Foucault, l'interpretazione dei testi, dipanandosi nella convenientia, presente nelle cose in cui i margini si toccano, come il corpo e l'anima; nella aemulatio, una convenienza senza la legge del luogo, come due gemelli; nell'analogia, dove il corpo dell'uomo è sempre la metà di un atlante universale; nella simpatia, il principio di mobilità di attrazione, come le cose pesanti verso il suolo e quelle leggere verso il cielo; e infine nell'antipatia, il principio di isolamento, che preserva le cose nello stato in cui sono. Il linguaggio rifletteva questi caratteri, ed il linguaggio non era visto come una serie di segni indipendenti dal reale, e lo studio dell'etimologia non era dunque la ricerca del senso originario delle parole, ma l'attribuzione delle proprietà intrinseche di essa. È nel mito della torre di Babele che si ha la frattura tra un linguaggio originario, dove le parole erano "deposte" su ciò che indicavano, e la pluralità dei linguaggi successivi, che sono convenzionali. Nella metà del '600 avviene la definitiva frattura. Il linguaggio perde tutta la sua funzione simbolica. Cartesio e Bacone pongono termine alla ricerca dell'analogia tra le cose. Le cose passano ad essere misurate. Tutte le grandezze sono ridotte ad un ordine di relazioni permanenti. Il digitale soppianta l'analogico, fino all'Ottocento, quando il "fallimento" del progetto digitale avviene per "colpa" di Nietzsche, il "folle" che svela la perdita di ogni centro.
Foucault afferma che il progetto digitale è ancora osservabile ai giorni nostri, e vuol mettere in evidenza che controllare e circoscrivere il linguaggio ed il sapere, non può far altro che portare alla scomparsa dell'uomo.

Martin Heidegger

Nel 1965 Heidegger afferma che la filosofia è ormai morta. Il suo posto è stato preso dalla cibernetica.
Cibernetica è un termine derivato dal greco, e vuol dire "arte del navigare"; nella seconda metà del '900 è passato ad indicare il metodo e i sistemi di controllo e produzione delle informazioni, che coinvolge modelli neurofisiologici, psichici, fisici, filosofici, matematici, logici.
Quanto affermato da Heidegger è inquietante: se così fosse, o se così è, vuol dire che ormai tutto è stato etichettato e catalogato, perché solo in questo modo la cibernetica riuscirebbe o è riuscita a diventare il "sistema" entro cui si muove la conoscenza. Entro cui si muove l'uomo. Un orizzonte fatto di sola tecnica. Dunque anche l'esperienza storica cessa di essere tradizione, per diventare pura "informazione". Ma l'informazione non è necessariamente comunicazione. Perché l'informazione diventi comunicazione è necessario l'uomo.
È una spersonalizzazione questa, figlia del troppo soggettivismo. Quando Cartesio ha posto alla base di tutto l'"io" ed il suo cogito, ha fatto sì che tutto ciò che è contrapposto al "sé", divenga solo un oggetto del pensiero. Gli altri uomini quindi considerati solo in base alla "impiegabilità", cioè un eccesso di soggettivismo che oggettivizza le persone, fa considerare gli uomini come massa, come strumento al servizio del sistema. È il meccanismo del totalitarismo. E quella che fa Heidegger, non è una previsione, ma  la descrizione del presente.
La cibernetica come nuova ontologia, distrugge l'idea di raccogliere una base comune di principi.


giovanni giuseppe albano

La scrittura e la distanza dal divino,

dai geroglifici alla scrittura digitale

 

Relazione tra linguaggio e cultura religiosa: alcuni esempi

C'è sicuramente relazione fra visione del mondo e scrittura. Non si può certo stabilire in termini assoluti quanto l'uno sia influenzata dall'altro. Ma è innegabile che qualsiasi forma di comunicazione sia anche la conseguenza del pensiero. Quindi la base sta in quanto l'uomo osserva, percepisce, conosce.
Considerando il campo religioso, quanto più è lontana la divinità, tanto più visiva sarà la scrittura. In un momento in cui si è appurato che la grandissima parte delle lingue, derivano da un unico ceppo, qualcosa deve aver provocato lo scarto che ha fatto sì che una lingua si sviluppasse in un senso piuttosto che in un altro, cioè a base essenzialmente pittografica o fonetica.

La scrittura dei Maya e degli Egizi

Quali sono gli esempi più lampanti di scrittura geroglifica conosciuti, o quantomeno i più noti ai più? Essenzialmente due, cioè la scrittura degli Egizi e quella dei Maya. Pur se a distanza di secoli, si può notare come il simile modo di concepire la divinità, coincida con una simile forma di scrittura. Sia gli Egizi che i Maya avevano un tipo di scrittura "visiva", e si osserva come entrambi avessero una concezione della divinità come immensamente distanti dagli uomini. Sia l'uno che l'altro, credevano che il faraone l'uno, e il sovrano l'altro, fossero la personificazione in terra della divinità. Ma la percezione dello scarto era lampante. Pur  essendo considerate come divinità in terra, la differenza fra chi li governava e la reale divinità era enorme. Entrambi, cioè sia il faraone che il sovrano,  utilizzarono un comune modo per raggiungere la comunione con la divinità. Entrambi costruirono piramidi. Vi era molto di divino in loro, ma la comunione con la divinità sarebbe potuta avvenire (forse) solo dopo morti. Il sapere religioso era gelosamente custodito dalla casta sacerdotale. Vi era anche una differenza sociale abnorme fra il regnante e l'uomo comune. Questo poteva solo essere uno schiavo nelle mani della divinità. Entrambi quindi, proprio per la percezione che avevano della divinità, utilizzavano una scrittura visiva. Era l'unico modo dunque per avere davanti agli occhi i loro dei. Potevano esserci delle manifestazione degli dei, come il Nilo con Amon Ra per gli Egizi, ma non c'è incarnazione in essi. Sono dunque scritture che parlano solo attraverso le immagini.

La scrittura giapponese e cinese

Le lingue cinese e giapponese, sono molto particolari. Sono infatti, a differenza di quanto il suo tipo di scrittura può far pensare, una commistione di elementi fonetici e di immagini. Infatti la maggior parte delle parole è irriducibile a pittogramma.
In Giappone, la sua religione storica, lo scintoismo, non è una religione rivelata. Il rapporto con la divinità, è ancora distante. Tuttavia i punti di contatto aumentano, dal momento in cui, le divinità si incarnano nella natura: anche le due isole giapponesi sono una divinità. La distanza con le divinità si riduce dunque rispetto a quanto avveniva con gli egizi e con i maya. Per quanto riguarda la Cina, non si può ricondurre il tutto ad un'unica religione, ma bisogna tener tuttavia conto anche di quelle che più che religioni sono sistemi filosofici, come il confucianesimo e il taoismo. Il buddismo vede non pochi punti di contatto con lo scintoismo, e comunque una preminenza di quelle forze naturali che sono raggiungibili solo attraverso grande dedizione per raggiungere il nirvana; il confucianesimo vede anch'esso un netto distacco con le forze divine, di cui l'imperatore ne rappresenta il tramite, pur vedendo il loro agire nella natura; il taoismo è a base sciamanico-magico, quindi anch'esso, fatti salvi grosso modo gli stessi principi dei precedenti, prevede un'iniziazione, dunque riservata ad alcuni sciamani o conoscitori della magia.
Quindi la distanza divina si accorcia: se ne sente la presenza nella natura, la si può in un certo senso toccare. Ma la distanza nei confronti della divinità, non è percorribile da tutti, vi è un mediatore fra questa e l'uomo, oppure lo è solo per alcuni iniziati.
È da notare tuttavia che la lingua è nata molti secoli prima di questi sistemi religiosi. Ma è anche vero che questi sistemi non sono nati dalla sera la mattina, e lo stesso Confucio non diceva di essere l'iniziatore della dottrina che porta il suo nome, ma dice di aver attinto ad antichissimi testi, di cui lui è stato solo l'organizzatore.
E proprio tenendo conto di questo si può notare, come una sempre più complessa sistemazione delle dottrine, nel corso dei secoli è corrisposto a un sempre più progressivo processo di stilizzazione delle immagini figurate, cioè gli ideogrammi utilizzati per quelle parole che hanno significato intrinseco, che cioè mettono in diretta corrispondenza l'ideogramma e l'oggetto rappresentato.

 La scrittura religiosa ebraica e cristiana

Sono due forme di religiosità, che rispetto a quella egizia o maya, o delle religioni/filosofie orientali, è più vicina all'uomo, vi è addirittura una comunione. Varie volte, come testimoniato dalla bibbia, Dio ha dato dimostrazione della sua presenza. Gli ebrei sono il popolo eletto. Per i cristiani un suo figlio è sceso tra gli uomini.  Dunque anche la forma di scrittura cambia. Le immagini non scompaiono del tutto, anzi, rimangono fondamentali, ma queste sono costruite dalle parole stesse.  Qui addirittura si nota uno scarto fra ebraismo e cattolicesimo, dunque fra quello che è il nucleo ebraico della bibbia, il pentateuco, a base cabbalistica, e quelle che sono state le successive aggiunte del pensiero cristiano, soprattutto i vangeli, che parla per metafore (trasferimenti di un nome di una cosa ad un'altra cosa), cioè le espressioni figurate attrraverso il linguaggio.
La scrittura ebraica e cristiana sono dunque molto legate all'aspetto religioso. Pur mantenendo un distacco incolmabile con la divinità, come è anche quello degli egizi e dei maya, fra questi ultimi ed i primi vi è una differenza fondamentale: il dio ebraico e cristiano è rivelato. È dunque un Dio che non è inconoscibile: è possibile conoscerlo, pur tenendo conto dei limiti che la conoscenza dell'uomo ha rispetto a Dio. La scrittura ebraica dunque parla di Dio, ed usa le parole come immagini di Dio stesso. La scrittura cristiana, usa le metafore, immagini create dalle parole.
In questo caso, il Dio cristiano è, rispetto a quello ebraico, un po’ più vicino. Da qui la necessità dunque di creare delle immagini con le parole, in modo che il contenuto dell'insegnamento biblico potesse essere meglio recepito. È tuttavia da considerare che le scritture, fino alla "vulgata", sono state solo messe a disposizione dei sacerdoti. All'uomo comune non si sarebbero potute dare in mano le sacre scritture. Ma il messaggio era per tutti. A livello religioso, le differenze fra il cristianesimo e l'ebraismo, stanno nel riconoscimento di Gesù come figlio di Dio, ed il carattere proselistico di quest'ultimo a differenza della chiusura verso l'esterno del primo. Ancora di più, si nota dunque il carattere di vicinanza all'uomo del cristianesimo, con un "figlio di dio" che scende tra gli uomini, il Logos che si fa carne. Il Logos, da cui parte tutto: "In principio era il Logos". Questo distingue queste due religioni da quelle egizia e maya e quelle orientali. Il riconoscimento, fin dal principio, dell'importanza del linguaggio. L'ebraismo, rispetto al cristianesimo, mantiene un accesso diretto a dio che non può essere di tutti. Il contatto con dio è riservato ai conoscitori della qabbalah. Questa permette la "ricezione" (che è il suo significato letterale), del messaggio di Dio. I libri cabbalistici, mantengono uno stretto contatto col pentateuco. Dei cinque libri, sia per il carattere stesso della scrittura, sia per una serie di significati intrinseci, è possibile farne una lettura con diversi livelli di significato. Vi è il significato esteriore, quello autentico, quello mistico, e quello che sarà svelato nella notte dei tempi. La struttura della Torah trascende dunque quello che è il puro livello filologico. Sotto l'aspetto cabbalistico, l'immagine diventa fondante del linguaggio. Ogni parola, ogni frase, assume un significato diverso a secondo di dove è collocata. Addirittura, per dimostrare il legame con l'immagine, si può dire che diventa scrittura geometrica, fatta con i 10 numeri primordiali e le 22 lettere. Ognuna corrispondente ad un significato preciso. Questo conferma il duplice carattere del dio: nascosto da una parte, e quindi il bisogno di immagini, della qabbalah per comprenderlo, e il dio invece che è nel mondo, e quindi il significato letterale e superficiale delle scritture. Il dio della tradizione cristiana, è invece più universalizzato, si accosta al peccatore nella figura di suo figlio. È un Dio più vicino agli uomini, che ha bisogno di meno immagini per essere spiegato e visto.

La scrittura greca

La scrittura greca è quella della filosofia e della scienza. Ma è anche quella di una particolare forma di religiosità, la mitologia, il "racconto intorno a dei, esseri divini, eroi e discese all'aldilà", secondo la definizione di Platone. La parola unisce due termini per certi versi simili, ma anche profondamente diversi. Mythos, per omero indica "parola", "discorso"; anche logos può voler dire parola, ma anche discorso, oppure ragionamento. Quindi mito, come un discorso che non necessita di dimostrazione, mentre logos, come ragionamento razionale. Gli dei greci, hanno una distanza dagli uomini che è quasi nulla. La distanza che separa gli dei dagli uomini è quella di un monte. Gli uomini nella mitologia, possono relazionarsi con gli dei, possono sfidarli. Ci sono uomini che possono essere per metà dei. Zeus si accompagna con donne mortali. L'Ade è esplorabile dagli uomini. I miti greci sono storie reali e accadute, che tuttavia vivono nel racconto che se ne fa. Dunque il linguaggio greco è essenzialmente legato alla facoltà del ragionamento, ben rappresentato dalla figura di Socrate, colui il quale, consapevole del fatto che le parole non contengono al loro interno immagini, quando nei suoi dialoghi si relaziona con qualcuno, chiede di un termine di precisare in maniera netta quello che intende utilizzando quella parola. Parola ormai slegata dal concetto di immagine, e quindi col pericolo di essere fraintesa: diverso dunque dalla parola ebraica che si presta a molteplici interpretazioni, con diversi gradi di aderenza alla divinità ma tutti ugualmente veri; qui invece si corre il rischio di fraintendere, cioè non cogliere completamente quanto si vuole dire. 

La scrittura digitale

La scrittura digitale basa tutto sull'atomismo. Non c'è più spazio per alcuna immagine. È la scrittura univoca, dove non entra più a far parte l'uomo con la sua ermeneutica.
Iniziato dal "cogito ergo sum" di Cartesio, è il procedimento che procede attraverso la dimostrazione della verità attraverso la riduzione di tutto al modello logico-matematico. Tutto si riduce a vero/falso, I/0.  È la fine della narrazione, a favore dell'informazione. Da un lato si osserva la scomparsa dell'uomo a favore dell'automa, e dall'altro, l'ipersoggettività che fa diventare divino il "se stesso", con gli altri uomini al ruolo di oggetti. È, come dice Heidegger, la morte della filosofia, nata dalla progressiva demitizzazione dell'uomo nella cultura greca classica, per passare alla cibernetica, il sistema perfetto di catalogazione, la morte dell'ermeneutica e dell'uomo.
È un mondo dove non c'è spazio più per le antiche divinità, per la fantasia, per la filosofia, ma quel che è peggio, è che non c'è più spazio, nemmeno per l'uomo, se non per quello egocentrista o completamente automizzato.


giovanni giuseppe albano
(2/3 luglio 2002)

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