La scrittura e la distanza dal divino, dai geroglifici alla scrittura digitale 20020702/3




Relazione tra linguaggio e cultura religiosa con alcuni esempi

C'è sicuramente relazione fra visione del mondo e scrittura. Non si può certo stabilire in termini assoluti quanto l'uno sia influenzata dall'altro. Ma è innegabile che qualsiasi forma di comunicazione sia anche la conseguenza del pensiero. Quindi la base sta in quanto l'uomo osserva, percepisce, conosce.
Considerando il campo religioso, quanto più è lontana la divinità, tanto più visiva sarà la scrittura. In un momento in cui si è appurato che la grandissima parte delle lingue, derivano da un unico ceppo, qualcosa deve aver provocato lo scarto che ha fatto sì che una lingua si sviluppasse in un senso piuttosto che in un altro, cioè a base essenzialmente pittografica o fonetica.


La scrittura dei Maya e degli Egizi

Quali sono gli esempi più lampanti di scrittura geroglifica conosciuti, o quantomeno i più noti ai più? Essenzialmente due, cioè la scrittura degli Egizi e quella dei Maya. Pur se a distanza di secoli, si può notare come il simile modo di concepire la divinità, coincida con una simile forma di scrittura. Sia gli Egizi che i Maya avevano un tipo di scrittura "visiva", e si osserva come entrambi avessero una concezione della divinità come immensamente distanti dagli uomini. Sia l'uno che l'altro, credevano che il faraone l'uno, e il sovrano l'altro, fossero la personificazione in terra della divinità. Ma la percezione dello scarto era lampante. Pur  essendo considerate come divinità in terra, la differenza fra chi li governava e la reale divinità era enorme. Entrambi, cioè sia il faraone che il sovrano,  utilizzarono un comune modo per raggiungere la comunione con la divinità. Entrambi costruirono piramidi. Vi era molto di divino in loro, ma la comunione con la divinità sarebbe potuta avvenire (forse) solo dopo morti. Il sapere religioso era gelosamente custodito dalla casta sacerdotale. Vi era anche una differenza sociale abnorme fra il regnante e l'uomo comune. Questo poteva solo essere uno schiavo nelle mani della divinità. Entrambi quindi, proprio per la percezione che avevano della divinità, utilizzavano una scrittura visiva. Era l'unico modo dunque per avere davanti agli occhi i loro dei. Potevano esserci delle manifestazione degli dei, come il Nilo con Amon Ra per gli Egizi, ma non c'è incarnazione in essi. Sono dunque scritture che parlano solo attraverso le immagini.


La scrittura giapponese e cinese

Le lingue cinese e giapponese, sono molto particolari. Sono infatti, a differenza di quanto il suo tipo di scrittura può far pensare, una commistione di elementi fonetici e di immagini. Infatti la maggior parte delle parole è irriducibile a pittogramma.
In Giappone, la sua religione storica, lo scintoismo, non è una religione rivelata. Il rapporto con la divinità, è ancora distante. Tuttavia i punti di contatto aumentano, dal momento in cui, le divinità si incarnano nella natura: anche le due isole giapponesi sono una divinità. La distanza con le divinità si riduce dunque rispetto a quanto avveniva con gli egizi e con i maya. Per quanto riguarda la Cina, non si può ricondurre il tutto ad un'unica religione, ma bisogna tener tuttavia conto anche di quelle che più che religioni sono sistemi filosofici, come il confucianesimo e il taoismo. Il buddismo vede non pochi punti di contatto con lo scintoismo, e comunque una preminenza di quelle forze naturali che sono raggiungibili solo attraverso grande dedizione per raggiungere il nirvana; il confucianesimo vede anch'esso un netto distacco con le forze divine, di cui l'imperatore ne rappresenta il tramite, pur vedendo il loro agire nella natura; il taoismo è a base sciamanico-magico, quindi anch'esso, fatti salvi grosso modo gli stessi principi dei precedenti, prevede un'iniziazione, dunque riservata ad alcuni sciamani o conoscitori della magia.
Quindi la distanza divina si accorcia: se ne sente la presenza nella natura, la si può in un certo senso toccare. Ma la distanza nei confronti della divinità, non è percorribile da tutti, vi è un mediatore fra questa e l'uomo, oppure lo è solo per alcuni iniziati.
È da notare tuttavia che la lingua è nata molti secoli prima di questi sistemi religiosi. Ma è anche vero che questi sistemi non sono nati dalla sera la mattina, e lo stesso Confucio non diceva di essere l'iniziatore della dottrina che porta il suo nome, ma dice di aver attinto ad antichissimi testi, di cui lui è stato solo l'organizzatore.
E proprio tenendo conto di questo si può notare, come una sempre più complessa sistemazione delle dottrine, nel corso dei secoli è corrisposto a un sempre più progressivo processo di stilizzazione delle immagini figurate, cioè gli ideogrammi utilizzati per quelle parole che hanno significato intrinseco, che cioè mettono in diretta corrispondenza l'ideogramma e l'oggetto rappresentato.


 La scrittura religiosa ebraica e cristiana

Sono due forme di religiosità, che rispetto a quella egizia o maya, o delle religioni/filosofie orientali, è più vicina all'uomo, vi è addirittura una comunione. Varie volte, come testimoniato dalla bibbia, Dio ha dato dimostrazione della sua presenza. Gli ebrei sono il popolo eletto. Per i cristiani un suo figlio è sceso tra gli uomini.  Dunque anche la forma di scrittura cambia. Le immagini non scompaiono del tutto, anzi, rimangono fondamentali, ma queste sono costruite dalle parole stesse.  Qui addirittura si nota uno scarto fra ebraismo e cattolicesimo, dunque fra quello che è il nucleo ebraico della bibbia, il pentateuco, a base cabbalistica, e quelle che sono state le successive aggiunte del pensiero cristiano, soprattutto i vangeli, che parla per metafore (trasferimenti di un nome di una cosa ad un'altra cosa), cioè le espressioni figurate attrraverso il linguaggio.
La scrittura ebraica e cristiana sono dunque molto legate all'aspetto religioso. Pur mantenendo un distacco incolmabile con la divinità, come è anche quello degli egizi e dei maya, fra questi ultimi ed i primi vi è una differenza fondamentale: il dio ebraico e cristiano è rivelato. È dunque un Dio che non è inconoscibile: è possibile conoscerlo, pur tenendo conto dei limiti che la conoscenza dell'uomo ha rispetto a Dio. La scrittura ebraica dunque parla di Dio, ed usa le parole come immagini di Dio stesso. La scrittura cristiana, usa le metafore, immagini create dalle parole.
In questo caso, il Dio cristiano è, rispetto a quello ebraico, un po’ più vicino. Da qui la necessità dunque di creare delle immagini con le parole, in modo che il contenuto dell'insegnamento biblico potesse essere meglio recepito. È tuttavia da considerare che le scritture, fino alla "vulgata", sono state solo messe a disposizione dei sacerdoti. All'uomo comune non si sarebbero potute dare in mano le sacre scritture. Ma il messaggio era per tutti. A livello religioso, le differenze fra il cristianesimo e l'ebraismo, stanno nel riconoscimento di Gesù come figlio di Dio, ed il carattere proselistico di quest'ultimo a differenza della chiusura verso l'esterno del primo. Ancora di più, si nota dunque il carattere di vicinanza all'uomo del cristianesimo, con un "figlio di dio" che scende tra gli uomini, il Logos che si fa carne. Il Logos, da cui parte tutto: "In principio era il Logos". Questo distingue queste due religioni da quelle egizia e maya e quelle orientali. Il riconoscimento, fin dal principio, dell'importanza del linguaggio. L'ebraismo, rispetto al cristianesimo, mantiene un accesso diretto a dio che non può essere di tutti. Il contatto con dio è riservato ai conoscitori della qabbalah. Questa permette la "ricezione" (che è il suo significato letterale), del messaggio di Dio. I libri cabbalistici, mantengono uno stretto contatto col pentateuco. Dei cinque libri, sia per il carattere stesso della scrittura, sia per una serie di significati intrinseci, è possibile farne una lettura con diversi livelli di significato. Vi è il significato esteriore, quello autentico, quello mistico, e quello che sarà svelato nella notte dei tempi. La struttura della Torah trascende dunque quello che è il puro livello filologico. Sotto l'aspetto cabbalistico, l'immagine diventa fondante del linguaggio. Ogni parola, ogni frase, assume un significato diverso a secondo di dove è collocata. Addirittura, per dimostrare il legame con l'immagine, si può dire che diventa scrittura geometrica, fatta con i 10 numeri primordiali e le 22 lettere. Ognuna corrispondente ad un significato preciso. Questo conferma il duplice carattere del dio: nascosto da una parte, e quindi il bisogno di immagini, della qabbalah per comprenderlo, e il dio invece che è nel mondo, e quindi il significato letterale e superficiale delle scritture. Il dio della tradizione cristiana, è invece più universalizzato, si accosta al peccatore nella figura di suo figlio. È un Dio più vicino agli uomini, che ha bisogno di meno immagini per essere spiegato e visto.


La scrittura greca

La scrittura greca è quella della filosofia e della scienza. Ma è anche quella di una particolare forma di religiosità, la mitologia, il "racconto intorno a dei, esseri divini, eroi e discese all'aldilà", secondo la definizione di Platone. La parola unisce due termini per certi versi simili, ma anche profondamente diversi. Mythos, per omero indica "parola", "discorso"; anche logos può voler dire parola, ma anche discorso, oppure ragionamento. Quindi mito, come un discorso che non necessita di dimostrazione, mentre logos, come ragionamento razionale. Gli dei greci, hanno una distanza dagli uomini che è quasi nulla. La distanza che separa gli dei dagli uomini è quella di un monte. Gli uomini nella mitologia, possono relazionarsi con gli dei, possono sfidarli. Ci sono uomini che possono essere per metà dei. Zeus si accompagna con donne mortali. L'Ade è esplorabile dagli uomini. I miti greci sono storie reali e accadute, che tuttavia vivono nel racconto che se ne fa. Dunque il linguaggio greco è essenzialmente legato alla facoltà del ragionamento, ben rappresentato dalla figura di Socrate, colui il quale, consapevole del fatto che le parole non contengono al loro interno immagini, quando nei suoi dialoghi si relaziona con qualcuno, chiede di un termine di precisare in maniera netta quello che intende utilizzando quella parola. Parola ormai slegata dal concetto di immagine, e quindi col pericolo di essere fraintesa: diverso dunque dalla parola ebraica che si presta a molteplici interpretazioni, con diversi gradi di aderenza alla divinità ma tutti ugualmente veri; qui invece si corre il rischio di fraintendere, cioè non cogliere completamente quanto si vuole dire. 


La scrittura digitale

La scrittura digitale basa tutto sull'atomismo. Non c'è più spazio per alcuna immagine. È la scrittura univoca, dove non entra più a far parte l'uomo con la sua ermeneutica.
Iniziato dal "cogito ergo sum" di Cartesio, è il procedimento che procede attraverso la dimostrazione della verità attraverso la riduzione di tutto al modello logico-matematico. Tutto si riduce a vero/falso, I/0.  È la fine della narrazione, a favore dell'informazione. Da un lato si osserva la scomparsa dell'uomo a favore dell'automa, e dall'altro, l'ipersoggettività che fa diventare divino il "se stesso", con gli altri uomini al ruolo di oggetti. È, come dice Heidegger, la morte della filosofia, nata dalla progressiva demitizzazione dell'uomo nella cultura greca classica, per passare alla cibernetica, il sistema perfetto di catalogazione, la morte dell'ermeneutica e dell'uomo.
È un mondo dove non c'è spazio più per le antiche divinità, per la fantasia, per la filosofia, ma quel che è peggio, è che non c'è più spazio, nemmeno per l'uomo, se non per quello egocentrista o completamente automizzato.


giovanni giuseppe albano
Pignola, 2/3 luglio 2002

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