L'uomo—bestia



È nel corso degli anni '70 dell' '800 che nascono le "messe in scena" degli "spettacoli zoologici" dove sono esposti, come fossero animali, dei "rappresentanti" di popolazioni esotiche. Fa pensare il fatto che questa pratica sia iniziata in quella Francia che un secolo prima aveva fatto una rivoluzione per affermare i principi di "libertà, uguaglianza e fraternità".
«Dal 1877 all'inizio degli anni Trenta, milioni di francesi vanno a incontrare l'Altro. Un "altro" messo in scena in una gabbia.» [N. Bancel, P. Blanchard e S. Lemaire, Le monde diplomatique, il manifesto, sett. 2000].
Siamo in piena espansione coloniale, e la propaganda in questi casi non è mai abbastanza. Ma è soprattutto il periodo della teorizzazione di una scientifica gerarchizzazione delle razze.
Il mito del "buon selvaggio" viene messo da parte: non perché ora visto come cattivo, o meglio, non solo, ma questo "mito" lascia il posto alla scienza. Sono visti, dopo l'avvento del darwinismo sociale (che poco ha a che vedere con le teorie di Darwin), come l'anello di congiunzione fra la scimmia e l'uomo; ed in questa speciale "graduatoria", l'ultima piazza se la giocano gli aborigeni, e i "selvaggi" dell'Africa Nera. Vengono trattati, in base a stupidi pregiudizi, come e peggio degli animali. Sono "selvaggi", e questo diventa simbolo di bestialità: individui che seguono solo i sensi, libidinosi, sporchi. Due forme di razzismo vengono a commistione: quello scientifico, e quello popolare.  Quest'ultimo è quello che prende piede nell'immaginario collettivo attraverso l'iconografia, amplifica tutti i pregiudizi che circolano. Ma a questo, si aggiungono i pregiudizi che nascono nell'ambito del "sapere". Sono tre i fronti che convergono sull'uomo-bestia: positivismo, evoluzionismo sociale, razzismo. Ed è ancora in Francia che si deve cercare chi, porta a una organizzazione di tutte le teorie fino ad allora inerenti il pensiero sulle "razze": è Joseph Arthur de Gobineau, che fra il 1853, e il 1855 dà alle stampe il suo Saggio sull'ineguaglianza delle razze umane. È solo il compimento di un processo nato con l'uomo, quello del pregiudizio, e che nel '700 assurge a ruolo di scienza. Non bisogna dimenticare che anche nella Bibbia si parla in termini di una precisa distinzione delle genie di Cam (camiti) di Sem (semiti) e di Japhet.  Fra questi, a varie riprese ci si scaglia contro i semiti, contro gli Ebrei, ma ci si sofferma principalmente sulla "maledizione di Cam", il figlio che vide nudo suo padre Noè, ed il cui figlio Canaan fu maledetto dallo stesso Noè. La maledizione fu quella che si è poi realizzata. La genia di Cam sarebbe dovuta essere infima rispetto a quella di Sem e Japhet, e di queste sarebbe stata servitrice. Profezia avveratasi con la colonizzazione, cioè quando la vita di un uomo di colore valeva davvero nulla, e venivano comprati e venduti con meno riguardo di quanto fosse riservato agli animali. E tutto questo nel secolo dei Lumi.
Passando attraverso tutta la trattatistica medievale che vuole giustificare l'inferiorità dei neri portando come prova la bibbia, si giunge alla spagnola "limpieza di sangre", e travolgendo sotto i suoi colpi molto spesso anche gli Ebrei.
Lo scarto decisivo avviene col naturalismo, che trasporta credenze popolari e leggende, oppure racconti mitologici, come il mito di Fetonte, dannato da Zeus, che trova il paio nel racconto cristiano di Canaan, al livello di scienza. Infatti se da una parte questo trova la giusta via indicando la natura animale dell'uomo, tuttavia va molto oltre quando cerca di classificare razze diverse all'interno della specie umana. E non solo. Oltre a divederla in varie "razze", trova via via vari caratteri per operare la classificazione, pur rimanendo il principale quello del colore della pelle, e applicando poi alle varie razze, caratteri pregiudiziali. Carl Von Linné distingue quattro razze: europea, asiatica, americana, africana. Ognuna di queste razze ha caratteri distintivi esteriori di cui sicuramente il più lampante è il colore della pelle: bianca, gialla, rossa, nera. Ma Linné va più avanti: non si limita, infatti, a classificare gli aspetti esteriori, ma attribuisce ad ogni razza specifiche attitudini morali; l’Europeo è ingegnoso, pieno di inventiva, esploratore e governato dalle leggi; l’Asiatico è avaro, melanconico e si lascia governare dall’opinione pubblica; l’Americano (nativo) è irascibile, molto legato alle tradizioni, difficile da sottomettere alla leggi; l’Africano è scaltro, pigro, negligente, irresponsabile, sensuale, governato dalla volontà dei propri padroni e gli piace essere governato.
Come detto, col passare degli anni ci si allontana sempre di più da quel mito del "buon selvaggio" di rousseaouniana memoria, giungendo attraverso una lunga serie di nomi di "studiosi" e "teorie", a quella summa teorica che è il Saggio sulla diseguaglianza delle razze umane, di Gobineau. Di lì a poco, nel 1859 uscirà l'imponenete L'origine della specie per selezione naturale o la preservazione delle razze privilegiate nella lotta per la vita di Charles Darwin, che darà il via a quel fenomeno di darwinismo sociale, che vuole applicare gli stessi principi dell'evoluzione animale alla specie umana. In pochi anni, dalla totale derisione delle teorie di Darwin, si passa sic et sempliciter ad applicarle all'uomo.
Dopo l'accettazione di queste teorie, dunque il "materiale" da esaminare diventa di fondamentale importanza, e quindi,  questi veri e propri "zoo umani" oltre che diventare un'attrazione per i "curiosi", diventano il principale luogo di studio per gli scienziati. E tutto comincia a muoversi su un doppio binario: se da una parte è vero che queste persone vengono messe in gabbia come un animale selvatico, allo stesso tempo questo è camuffato come un amore per la scienza, importanza degli studi. Allo stesso modo la colonizzazione: i fiorenti tornaconti per gli stati e per le società colonizzatrici, sono "abbelliti" dal "nobile gesto" di portare civiltà a questi popoli rimasti sull'ultimo gradino della scala evolutiva. Tutto questo come se fosse una necessaria copertura umanitaria per gli orrori commessi. E questo ricorda la frase di una borghese inglese, che affermava: «sarà pur vero che l'uomo discende dalle scimmie, ma non diciamolo, che non lo si venga a sapere!». Un'ipocrita visione di un mondo che vuol mettersi in pace con se stesso. Auto nascondimento della realtà, osservabile ancora oggi.
Nuovi studi sono anche rivolti al miglioramento della "razza". È l'eugenetica di Georges Vacher de Lapouge. E anche gli ultimi residui di mito del "buon selvaggio", che ancora resistevano come curiosità verso l'esotico, lasciano spazio ad un'oscurantismo, al ritorno alle idee cattoliche medievali. A quel periodo risale l'associazione del "nero" alla maledizione divina (Canaan, che come segno del peccato del padre è raffigurato nero); all'associare l'imperfezione del corpo a tare originarie, come il simbolo del peccato. Persone diseredate che si vedono fin dalla nascita costretti al ruolo di emarginati, al ruolo di figli del demonio. E si assiste ad un ritorno a tutto questo, solo condito in salsa scientifica. Il selvaggio è visto come una bestia che ha il gusto del sangue. Che è "naturalmente" malvagio. Insieme a loro, negli "zoo umani" o nei baracconi viaggianti, vengono messi i freak, gli "scherzi della natura": gobbi, nani, giganti, macrocefali. Tutti insieme, tutti accomunati da un'unica condizione: l'essere "tarati", con qualcosa di mancante.  Con sempre una maggiore, colpevole aiuto della scienza. Con il ruolo di guida assunto dall'antropologia. Il Jardin cui fa riferimento il manifesto è quello della Société d'Anthropologie Français. Vari contributi vengono dalla fisiognomica, che dai caratteri esteriori vuole individuare i caretteri dell'uomo. Come non ricordare la criminologia di Lombroso, che voleva riconoscere i criminali dai suoi caratteri somatici?
Il selvaggio assume dunque un ruolo di minaccia, perché visto come una belva assassina. Negli "zoo" vengono costretti a far assistere al pubblico accorso, a scarificazioni, combattimenti, addirittura sacrifici umani. Vediamo come anche il connotato della loro presunta sessualità sfrenata viene ad assumere caratteristiche minacciose. Il rapporto fra "razze" rappresenterebbe un degrado biologico. E quest'altro argomento si innesta sul discorso iniziato da Johan Gottfried Herder, che col concetto di Wolkgeist, lo spirito del popolo, alla fine del '700 inizia a parlare di "caratteri distintivi di un popolo". Caratteri da preservare. E chi più dei rappresentanti del più basso gradino di umanità può minacciare un popolo? mettere in pericolo  la purezza del sangue? Ecco che tutti gli ingredienti dell'arianesimo sono serviti. È un concetto fondamentale questo. La riduzione dell'uomo a bestia, o peggio ad oggetto nocivo, spersonalizzato, sinonimo di malattia. Con l'affermarsi dei nazionalismi, questi caratteri razzistici diventano il collante del popolo. E dalla discriminazione e segregazione, si passa ai progetti di sterminio, come la storia ci ha tristemente dimostrato.
Sono caratteri che si possono vedere nella propaganda di cui il manifesto è la testimonianza. L'uomo-bestia ci minaccia, difendiamo le nostre donne dal suo seme maledetto, infetto, nocivo.
A chi crede che queste siano cose lontane dai nostri tempi, bisogna ricordare che l'"olocausto" è avvenuto poco più di 60 anni fa, e che prima degli Ebrei sono state uccise milioni e milioni di persone.
Il razzismo, l'intolleranza sono aberrazioni presenti anche ai giorni nostri. L'uomo-bestia viene ancora visto così: altrimenti allo stadio ai giocatori di colore non verrebbe fatto sentire il verso della scimmia; altrimenti i nativi americani non vivrebbero ancore nelle riserve; altrimenti i confini, invece di crearne di nuovi, si cercherebbe di abbatterli quelli che ci sono. Ed altri esempi si potrebbero fare.
Milioni di persone sono state uccise perché "altre" da noi. Uccise per sopraffazione, perché infedeli, perché eretici, perché ebree, perché islamiche, perché cattoliche, perché buddiste, perché di colore, perché avevano problemi mentali, perché avevano idee politiche diverse, perché pensavano. Persone uccise perché di un'altra "razza".
Ma perché, se anche ci fossero più razze di uomini, questo giustificherebbe l'essere superiori ad un'altra?
Milioni di persone sono state uccise perché "diverse".
giuseppe giovanni albano

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