La nascita della tragedia friedrich wilhelm nietzsche (§ 6) 20021200



Le idee di Nietzsche

Archiloco

Omero ed Archiloco vengono da Nietzsche indicati come « i portatori della fiaccola della poesia greca». Ma se Omero viene indicato come « il vecchio sognatore sprofondato in sé, il tipo dell’artista apollineo, ingenuo », Archiloco è riconosciuto come « il battagliero servitore  delle Muse, selvaggiamente  sospinto nell’esistenza ». Per Nietzsche, quest’ultimo assume un’importanza capitale, perché fu lui ad introdurre nella letteratura il canto popolare. Ma chi è Archiloco? Vissuto nel VII sec. a.c. fu un poeta-soldato, o meglio, un soldato-poeta, visto che morì combattendo e non con una penna in mano. Della sua opera rimangono solo frammenti. Ma l’importanza di Archiloco emerge da quanto ci dice lo stesso Nietzsche.

Il canto popolare

Qual è l’importanza che assume il canto popolare nella trattazione della nascita della tragedia? Il canto popolare viene innanzi tutto considerato come antitetico all’epos, che è interamente una creazione apollinea, e la sua importanza sta quindi proprio nel saper coniugare le due polarità umane, il dionisiaco e l’apollineo. Non bisogna mai dimenticare l’importanza che ricopre la musica all’interno della trattazione della nascita della tragedia. Non per niente il titolo completo dell’opera è La nascita della tragedia dallo spirito della musica. Percorrendo un po’ la storia della musica, si scopre, che la musica, fin dai tempi di Omero, aveva cessato di essere una attività a puro appannaggio della casta sacerdotale, per andare in mezzo alla gente. Per questo diventa “canto popolare”, quindi non più un qualcosa di alieno agli uomini “comuni”, pur non dimenticando che la matrice di questo tipo di canto sono le feste in onore di Dioniso.
La rilevanza assunta da Archiloco, è fondamentale per lo sviluppo della tragedia, essendo stato lui il primo lirico. È con la fioritura in Grecia della lirica, cioè della poesia accompagnata dal suono della lira, che la musica assume una importanza, una rilevanza, ed uno spazio notevole all’interno della vita civile greca. È in  conseguenza di ciò, cioè del legame “vitale” fra musica e poesia, che si spiega come la musica del canto popolare sia profondamente legata alla melodia, anzi, è solo melodia.

« Ma il canto popolare rappresenta per noi prima di ogni altra cosa uno specchio musicale del mondo, una melodia primordiale, che cerca poi per sé un’apparenza di sogno parallela e la esprime nella poesia. La melodia è dunque l’elemento primario ed universale ».

La poesia dunque nasce direttamente dalla musica, anzi, più precisamente dalla melodia. Il tutto in antitesi all’epos, all’epica.

« Nella poesia del canto popolare vediamo dunque il linguaggio teso al massimo per imitare la musica: perciò con Archiloco comincia un nuovo mondo di poesia, che nelle sua radici più profonde contraddice quello omerico. »

Nietzsche rinnega l’eroe. Per questo rinnega l’epica a favore della lirica. Infatti anche l’epica aveva il suo accompagnamento musicale, ma il rinnegamento è dato una constatazione di ordine “spirituale”. All’eroe si deve sostituire l’esperienza dell’individuo. Con la poesia lirica, e con la sua melodia, si passa a rappresentare, non più le gesta eroiche, ma l’interiorità umana, con i suoi sentimenti ed i suoi drammi. Non si rappresentano più le gesta dell’eroe di turno per passare alle gesta spirituali dell’individuo che compone. Si rifiuta la particolarizzazione del “tipo psicologico”: attraverso l’esperienza dell’individuo si deve poter rintracciare l’intera umanità, cosa che con una esasperante caratterizzazione psicologica non può avvenire.
Tutto questo entra a far parte nel discorso più generale della tragedia. È quel concetto di responsabilità che presuppone tutto l’impianto della tragedia. L’uomo non si nasconde più dietro “maschere mitiche”, ma si (op)pone da solo di fronte alla tragicità della vita, ponendo la sua anima a diretto contatto con l’esperienza dolorosa dell’esistenza.
 È importante comprendere dunque l’importanza capitale che la musica aveva all’interno del mondo greco, e di come quindi lo stesso discorso è valido sia quando si parla di tragedia, sia quando si parla di musica. Musica e tragedia vivono in simbiosi.

La musica come volontà

« Come appare la musica nello specchio delle immagini e dei concetti? Essa appare come volontà ». Quando parla di volontà, è Nietzsche stesso che specifica che intende volontà nel senso schopenhaueriano, cioè « in antitesi alla disposizione estetica, puramente contemplativa e scevra di volontà ». Con questa ulteriore specificazione Nietzsche cerca di spiegare nel modo più preciso possibile come avviene la sintesi del dionisiaco e dell’apollineo all’interno della lirica. Il lirico ha infatti bisogno di esprimere il contenuto della musica (dionisiaco), con delle immagini (apollinee). È un po’ quanto, volendo Nietzsche fare un paragone, avviene in una sinfonia di Beethoven: quando si designa una sinfonia come “pastorale”, o un movimento con un’immagine simbolica come “scena in riva al ruscello” , sono solo immagini nate dalla musica stessa:

« […]…queste sono del pari soltanto rappresentazioni simboliche nate dalla musica e non già gli oggetti imitati dalla musicarappresentazioni che per nessun verso ci possono istruire sul contenuto dionisiaco della musica, anzi che non hanno nessun valore esclusivo rispetto alle altre immagini. »

L’artista per riuscire a racchiudere dentro di se le due nature, dionisiaca e apollinea, deve compiere uno sforzo immenso, che rasenta la follia: « spinto dall’impulso a parlare della musica attraverso immagini apollinee, egli tende tutta la natura e sé in essa soltanto come eterno volere, desiderio, anelito ». Il lirico, interpretando la musica con immagini, si mette al sicuro, nel senso che anch’egli si mette tranquillamente nell’ottica della contemplazione apollinea.

« …sebbene tutto ciò che egli contempla attraverso il medium della musica si agiti intorno a lui con moto incalzante e turbinoso. È questo il fenomeno del lirico: come genio apollineo egli interpreta la musica attraverso l’immagine della volontà, mentre egli stesso, completamente staccato dalla brama della volontà, è un puro e impertubato occhio solare. »

Ma il rapporto fra musica ed immagini e quindi musica e lirica, è impari: mentre la lirica ha assolutamente bisogno della musica, la musica nella sua illimitatezza non è assulutamente legata ad un rapporto di dipendenza con le immagini e quindi con la lirica. Li tollera accanto a se.     « La poesia del lirico non può dire nulla che nella sua immensa universalità e validità asoluta non sia già nella musica che costringe il lirico a parlare per immagini ». La musica è come il Dio dei cristiani: inesprimibile. Il linguaggio è assolutamente limitato per esprimere anche solo una parte di quanto racchiude entro di sé la musica. Il linguaggio è lo strumento di cui c’è bisogno per esprimere le apparenze, ed è quindi totalmente inadatto e limitato per esprimere « all’esterno la più profonda interiorità della musica […], neanche con tutta l’eloquenza lirica potremo avvicinarci di un solo passo al senso più profondo di essa ».

« …il simbolismo cosmico della musica non può essere in nessun modo esaurientemente realizzato dal linguaggio, perché si riferisce simbolicamente alla contraddizione e al dolore originari nel cuore dell’uno primordiale, e pertanto simboleggia una sfera che è al di sopra di ogni apparenza e anteriore a ogni apparenza. »

La conclusione cui giunge dunque Nietzsche è che il “lirico” sia l’ultimo passaggio prima della nascita della tragedia. [oggetto di discussione del paragrafo successivo nel suo libro]

Considerazioni generali

I greci e la musica.

Non si può certo dire che la musica in Grecia abbia mai rappresentato un’aspetto secondario della vita. È infatti grazie ai greci che abbiamo le prime conoscenze teoriche della musica. Si può dire che la storia della musica sia iniziata proprio con le prime intuizioni scritte dai greci. La musica fin dal periodo arcaico aveva sempre mantenuto una stretta connessione con gli altri rami del sapere umano. Oltre che direttamente legata alla matematica, per quanto riguarda soprattutto il calcolo delle note, la costruzione degli strumenti, ha da sempre mantenuto un legame fortissimo con l’astronomia, basti pensare alla “musica delle sfere celesti” di Aristotele, ma è sul campo della filosofia che si è consumata un’aspra battaglia.
Nell’età arcaica, la musica svolgeva il suo ruolo in ambito religioso. La mousiké, l’arte delle muse, comprendeva al suo interno anche tutte quelle attività che erano collegate ad essa, come la danza e la poesia. A conferma di quanto la musica fosse importante all’interno dell’apparato mitico greco, basti pensare a tutti i miti greci che hanno un collegamento con la musica. Prima di tutto Olimpo, simbolo delle invenzioni musicali, un mito che ha origine in Asia minore, che sta anche a rappresentare la stretta connessione fra le due tradizioni musicali, anzi, testimonianza del debito della cultura greca verso quella asiatica per quanto riguarda la pratica musicale. Naturalmente c’è Orfeo, il mitico poeta-musico che con la sua lira era riuscito a sconfiggere anche la morte della sua Euridice. E poi naturalemte sono i due termini di paragone nietzscheani, cioè Apollo e Dioniso. Le due musiche sono antitetiche: mentre la cetra di Apollo donava serenità (la ottusa serenità figlia del principium individuationis direbbe Nietzsche), il flauto matto di Dioniso, il flauto di Pan, spingeva all’irrefrenatezza: non per niente la figura di Dioniso-Zagreus è quella del satiro, metà uomo e metà capro, assetato di sesso, e a cui erano associati  i miti/riti orgiastici.
Nell’VIII sec. a.c. con l’epica omerica la musica assume una dimensione sociale differente, cioè diventa accessibile, o quantomeno udibile da tutti, fatto testimoniato poi con la lirica popolare. Con i rapsodi, comincia a diffondersi in tutti gli strati della società, cessa di essere di solo  appannaggio religioso. Ma questa stagione musicale sarà di breve durata. Inizia poi la dannazione della musica da parte della filosofia razionalista.
La musica era stata sempre vista come capace di modificare gli stati d’animo degli uomini. Per questo la grande stagione della musica unita alla tragedia ebbe brevissima durata.
La musica fu incorporata al sistema delle conoscenze umane, e quindi doveva essere studiate solo da persone che fossero in grado di comprenderla, usarla, e di non lasciarsi influenzare da essa. Il “comando” passa all’armonia. È secondo il principio dell’harmonia mundi che il Demiurgo, come dice Platone nel Timeo, ha creato il mondo. È in questo solco di pensieri, che la musica cessa di essere un’attività puramente legata all’improvvisazione, alla poesia, all’istinto dell’uomo, per venire racchiusa all’interno di un sistema con un’ordinata successione di suoni all’interno del sistema teleion, cioè perfetto. La musica “armonica” doveva stimolare nell’animo umano quelle sensazioni che lo portavano alla mitigatezza, alla non aggressività, alla razionalità e che facevano quindi degli uomini dei perfetti cittadini. Platone, diede molta importanza ai risvolti psicologici che la musica poteva avere sull’uomo. Egli, sulla scorta dei principi di Aristotele, affermava che la principale, anzi la unica e fondamentale funzione della musica dovesse essere quella della catarsi, dello scarico delle passioni umane. Era per questo che alcuni tipi di musica dovevano essere proibite, come la musica lamentosa, conviviale, e quella legata al piacere sessuale. Diventando così musica del tutto non-dionisiaca quindi.

Il teatro tragico

Per Nietzsche l’unico e più alto modello di teatro tragico è quello di Eschilo. Con Eschilo la concezione tragica dell’uomo raggiunge il suo culmine. Il VI-V secolo della Grecia in cui vive, non è più quella arcaica, ma è quella che ormai si va organizzando nel suo aspetto stabile di democrazia, in cui si sviluppa un potere pubblico imparziale. È anche strenuo baluardo, per i suoi abitanti, della democrazia che si oppone alla sete di conquista persiana.
Il protagonista della tragedia eschilea è pienamente tragico. Egli non è più l’uomo che è vittima di forze sconosciute, ma è l’uomo totalmente consapevole responsabile delle sue scelte, e quindi in caso di caduta, che sa riconoscersi colpevole. La tragedia nella sua pura essenza è fatta del solo coro: la distinzione dei personaggi avviene solo attraverso delle maschere. L’unico “personaggio” è dunque il coro, che non ha bisogno d’altro se non delle maschere per reggere tutta l’azione tragica. Dietro ogni personaggio c'è Dioniso. Ma le maschere del teatro greco non sono le “maschere” borghesi, quelle che si indossano per fingere: la maschera del teatro greco è tale proprio perché non si usano gli attori. Quando la tragedia diventa solo una pura rappresentazione, mera finzione, con la creazione degli attori, quando il coro cessa di essere l’unico personaggio della tragedia, è allora che comincia il decadimento. Il vero ed unico teatro può essere solo quello tragico, senza finzioni: lì non si recita. Quando si comincia a fingere, allora tutto diventa possibile, tutto diventa rappresentazione, lasciando quindi fuori la realtà umana. Si compie in circa un secolo, nel passaggio da Eschilo a Sofocle, e da Sofocle ad Euripide, il progressivo annullamento del mito. La consapevolezza dell’uomo fa in Eschilo da contrappeso all’imperscrutabilità degli dei. Il mito rimane avvolto nel mistero, e l’uomo è consapevole che la causa dei mali del mondo altri non è che l’uomo stesso, con la sua tracotanza, con l’eccesso (ybris), che lo porta a compiere efferati crimini. Con Sofocle si mostrano le contraddizioni dell’uomo, di un uomo che ha un posto nel cosmo, ma spesso ne rimane schiacciato. Qualunque cosa faccia. La vita comincia ad assumere toni “eroici”, vista come un combattimento fra l’uomo e la vita che lo schiaccia. La distruzione del mito avviene con Euripide, il razionalista. Contemporaneo dei sofisti, ne porta lo “sfrenato” razionalismo in scena. L’uomo non ha più alcun atteggiamento reverenziale nei confronti dei miti: anzi, il mito viene visto con uno scetticismo ironico. All’altare della razionalità viene sacrificata tutta l’irrazionalità umana. Inventa il deus ex machina, che interviene con un miracoloso tempismo, e che risolve l’azione tragica.

Tragedia e musica

Il rapporto fra tragedia e musica è indissolubile. La tragedia nacque e morì all’interno della cultura greca, senza soluzione di continuità con tutta quella che sarà la “tragedia posteriore” a quella greca attica. La più antica testimonianza della tragedia greca, ci è data da Aristotele, che dedica un libro della sua Poetica proprio alla tragedia. Per questi, mentre arte e poesia sono imitatori della natura, oggetto di imitazione della tragedia sono le azioni umane. La vicenda che si svolge all’interno della rappresentazione tragica non è situabile in un contesto temporale: ciò che viene rappresentate sono le passioni umane, e queste sono fuori del tempo. La tragedia è l'estasi. Ciò permette all’animo di sublimare e quindi “sciogliere” le passioni dell’uomo, tramite la “catarsi”, la purificazione. Ma è il rapporto con la musica che interessa. L’origine della tragedia stessa è legata alla musica, alla melodia, alla lirica, come ci dice anche Nietzsche. Anche Aristotele lega la nascita della tragedia al ditirambo. Il primo ad utilizzare il ditirambo fu appunto Archiloco. Il ditirambo è diretta derivazione dei canti che venivano intonati in onore di Dioniso. Anche a tutto ciò sembra legata anche l’etimologia del nome: tragedia sarebbe infatti derivata dalle parole tragos e ode: cioè capro e canto. La tragedia sarebbe il “canto del capro”. Il mito di Dioniso è complesso: simbolicamente è legato all’immagine che ne diede la cultura romana con Bacco. Ma è un mito molto più complesso. La sua origine è quasi certamente cretese. L’origine del mito dionisiaco è legato al mito di Zagreus. Dio dell’ebrezza, della passione, e quindi dio degli stati d’animo turbati dell’uomo. Proprio perché simbolo delle lacerazioni dell’animo umano, Dioniso-Zagreo ne è il simbolo. Zagreus vuol dire “lacerato a brani”: ed è quanto avviene secondo la leggenda, dove secondo alcune fonti, fu fatto a pezzi da Era ed i Titani che volevano opporsi al potere di Zeus, e secondo altri, riprendendo il mito di Sabazio, essendo divinità per metà uomo e per metà capro, simbolo della natura selvaggia, viveva nei boschi, sempre inseguito da nemici, che alcune volte riuscivano a raggiungerlo, facendolo poi a brani. Questo Dioniso è dunque il “lacerato”, simbolo dell’irrazionalità umana., degli stati esaltati dell’uomo.
L’elemento principale della tragedia è il coro. È all’interno del coro che si racchiude il segreto della tragedia: al suo interno c’è tutto il genere umano, con le sue passioni, con la sua "umanità". La fine della tragedia avviene nel momento in cui il coro cessa di avere la sua funzione di contenitore umano a favore del soggettivismo degli attori.

« Il grande Pan è morto »

È l’imprecazione che lancia Nietzsche più avanti nel suo libro. Oltre alla conparsa di Socrate sula scena sociale greca, l’“assassino” della tragedia, è un altro il segnale che dà inizio alla inesorabile decadenza della tragedia: l’uscita dell’attore dal coro. La morte di Pan, simbolo della vita agreste, segna la fine del mondo mitico e dà inizio alla storia. È la definitiva crisi del dionisiaco, la fine dell’estasi. L’estasi è quel sublime momento in cui la frattura di dionisiaco ed apollineo si ricompone. La “scomposizione” dell’uomo si ricompone. L’estasi è l’interruzione del senso del tempo. L’estasi è propria della tragedia greca. Nietzsche rifiuta il  concetto di catarsi che elabora Aristotele, cioè quello di catarsi tragica: con la sublimazione delle passioni, si giunge alla purificazione. Quando si ha l’estasi, il soggetto rinasce ogni volta. È con la catarsi che il soggetto comincia a morire. È quando il coro si disunisce che la tragedia muore.  Dopo aver raggiunto il vertice con Eschilo, la tragedia comincia a morire, quando soprattutto con Euripide, il fine dichiarato della tragedia diventa la “recitazione” di un ruolo. Il coro che contiene tutti i ruoli viene a sparire. Si inventano gli eroi, che dopo l’azione ricevono meritate ricompense, si inventa il deus ex machina, che interviene “divinamente” a risolvere le azioni. Muore la tragedia e con essa la consapevolezza dell’uomo. Euripide si interessa dell’individualità dei personaggi della tragedia. A lui non interessa la fusione in un unico organismo compatto, tanto che i personaggi assumono sempre più una precisa identità. Dal disinteresse per l’ambito generale della vicenda, deriva la creazione del prologo: un personaggio spiega i passaggi della tragedia e ne chiarisce il senso, ed il deus ex machina, che risolve la situazione quando questa diventa troppo grande per gli uomini. Tutto ciò allontana la tragedia dal mito, diventando sempre più uno squallido spettacolo borghese. Si mette l’individuo e non più il coro al centro dell’uomo. Come da “buona” tradizione borghese, che mette sempre l’interesse particolare davanti a quello generale. Quell’elemento corale, il canto popolare introdotto da Archiloco, quell’elemento proveniente dal “basso” viene eliminato.

Decadimento della musica tragica: l’opera

Nietzsche nota delle trasformazioni riflettendo da un lato sul problema della tragedia greca, e dall’altro sul problema della conoscenza moderna ed analizzando la modalità con cui la tragedia si trasforma nella sua struttura di opera d’arte. Un punto su cui insiste (nei § 17-20) è quello nel fare un parallelo tra la trasformazione della tragedia operata nella cultura classica, e la distinzione del tragico nella cultura moderna, cioè quella a lui contemporanea. Gli elementi caratteristici che segnalano questo processo di decadimento della tragedia, ma di tutta l’arte in generale, nel XIX secolo, sono caratteri fondati sulla forma attraverso la quale, nella tragedia classica si afferma un nuovo tipo di rappresentazione, sia l’ascesa dell’arte moderna nell’opera. Nietzsche sostiene che in fondo la vere ferite sono state quelle inferte, prodotte dalla separazione dell’uomo, e dall’altro lato quella della scomparsa dello spazio dedicato alla musica come generatrice di immagini mitiche, che dal mito possano emergere. Quando il tutto si riduce alle parole, si perde questa funzione. Quando la musica viene tradotta in parole col dialogo teoretico, ed anche nell’opera, la musica si oggettiva, si formalizza, si “rappresenta”. È una musica non più di Dioniso, ma di Apollo, è una musica che non è più musica. Caratteristica del pensiero di Nietzsche è la ricerca dello stile, cui pone molta attenzione, perché ritenuto essenziale, e sente che anch’egli è esposto allo stesso rischio. Il rischio che si corre è quello di non riuscire nell’opera di riflessione, di non riuscire a trasmettere quel contenuto musicale che è co-essenziale al pensiero stesso. È co-essenziale al pensiero consapevole e liberatorio: consapevole perché è il pensiero che è a conoscenza della sua esistenza tragica, e liberatorio, perché quel pensiero trova le ragioni della libera accettazione del tragico stesso. Per Nietzsche filosofare, riflettere, significa pensare sul/il tragico. Pensare sopra la tragedia; e pensare questo significa tenere sempre presente questa consapevolezza di irriducibilità ad alcuna forma che possa togliere la dimensione tragica.

Nel solco di Lutero…

Nietzsche ripone tutte le sue speranze in Richard Wagner, che a lui appare come l’unico in grado di riprendere il mito tragico, essendo l’unico uomo tragico a lui contemporaneo. Alle idee di Nietzsche, Wagner si associa nel considerare la musica come qualcosa di mitico: basti pensare che nel suo teatro di Bayreuth, il luogo in cui era posta l’orchestra era il “golfo mistico”. Il mito è alla base di gran parte delle opere wagneriane. È nel far rifiorire il mito che si può giungere alla consapevolezza, perché nel mito sta lo spirito del popolo: il wolkgeist. Tutte queste idee uniscono in un unico pensiero la filosofia del libro di Nietzsche, e le opere frutto di Wagner. Non è certo un caso che il libro porti la dedica al compositore di Lipsia. La rinascita tedesca, Nietzsche la rintraccia nel solco della riforma luterana con il “corale” (kirchenlieder) di Martin Lutero. La riforma tedesca ebbe un ruolo fondamentale per lo studio di nuove forme di proselitismo. Lutero sapeva bene che la musica aveva un grandissimo potere aggregativo. Egli aveva compiuto la prima traduzione in tedesco della bibbia. Questo per rendere accessibili a tutti le sacre scritture. Stessa cosa per i canti. I testi dei corali vennero scritti appositamente per essere cantati in chiesa. Inoltre le musiche su cui venivano cantati i corali erano desunti dalla tradizione popolare profana, quindi ancora più “familiari” alla gente comune. È in questa pratica che Nietzsche rintraccia la rinascita del coro tragico: tutti uniti nel coro, tutti uniti nella fede, tutti uniti nella nazione tedesca e nel suo mito.

…il Wort-Ton-Drama di Wagner

In L’opera d’arte dell’avvenire (1849), Wagner dice:

« la grandezza del poeta si misura specialmente dal fatto che egli tace per lasciare che noi diciamo a noi stessi, in silenzio, ciò che è inesprimibile. Il musicista fa si che quanto dal poeta è taciuto risuoni chiaramente, e la forma infallibile del suo silenzio che echeggia così forte, è la melodia infinita ».

Nietzsche fa un preciso esempio di dove sia possibile rintracciare uno stretto legame fra Dioniso ed Apollo: nel Tristano e Isotta (1865) di Richard Wagner. Quest’opera è il primo esempio di Wort-Ton-Drama, cioè quel metodo compositivo che riesce a riunire dentro di sé la “parola”, il “suono”, e il “dramma”. Nell’idea che Wagner aveva di composizione, non facevano parte solo una successione di note: l’opera che ha in mente Wagner è un’“opera totale” che racchiuda dentro di sé appunto “tutto”. Dalla musica alle parole, dall’impatto scenico alla mimica, il mito e la realtà, il dramma e la poesia. Wagner parte dalle premesse che la musica sia la lingua dell’inesprimibile, dell’immediato e dell’inconscio.
Vuol recuperare il mito, quello che Nietzsche dichiara disperso fin dai tempi della tragedia greca attica. Il Lohengrin (1850) è per Wagner il « poema delle più remote origini umane ». Vi compaiono già alcuni caratteri che saranno dell’opera totale. Uno fra tutti il leit-motiv, il motivo conduttore che fa da collante a tutta l’opera e che è una parte fondamentale dell’opera stessa. Non è un semplice intermezzo, ma è una composizione che esprime un concetto, uno stato d’animo, che caratterizza un personaggio. Esso ha quindi una sua funzione specifica, e inoltre dà la continuità temporale all’azione tragica, assumendo rilevanza psicologica ed emotiva, e che collegando tutte le varie parti dell’opera, dà vita alla “melodia infinita”. Melodia appunto che era alla base della lirica tragica, e che proprio come essa, univa poesia e musica, apollineo e dionisiaco.

Considerazioni finali

L’essenza della musica

« La musica è fatta per l’inesprimibile, comincia là dove la parola è impotente a esprimere » (Claude Debussy).
Sentire la musica. Che cosa vorrà mai dire sentire la musica? Il sentire è usato anche in senso traslato per la dimensione dell’affettività, che indica un qualcosa di non rappresentabile. Non è un caso che il dio della musica rappresenti tutto ciò che non è rappresentabile: la musica ed il sentimento. La musica è ciò che non si vede e non si manifesta, non è rappresentabile. Allo stesso modo non rappresentabile è ciò che si sente, inteso come sentimento, che è la dimensione invisibile, interiore. L’ebrezza tende ad esaltare quella dimensione, poco conosciuta, ma che c’è, cioè la dimensione non logica, la dimensione pato-logica, o patica, cioè affettiva. Dioniso tutela il nostro abbandonarci ad una dimensione che per principio non è la dimensione propria della ragione, ma della consapevolezza: la dimensione dell’oblio, dell’annullamento. Già questo indica la peculiarità della musica, il fatto che non sia solamente un qualcosa di esteriore, ma tocca le corde profonde dell’anima. L’emotività. Un’emozione musicale è l’inesprimibile dei sentimenti. La melodia musicale trasporta l’emozione nell’indicibile, nell’inesprimibile a parole: « La voce cantante, voce “lirica”, è rispetto al parlato come il volo rispetto al camminare »[1].
La musica è quindi lo strumento più idoneo per conoscere il mondo, proprio per la sua levità, e nello stesso tempo spessore e profondità. Nietzsche in un certo senso contrappone alla sterilità dei tentativi della scienza di conoscere, la profondità conoscitiva della musica. La scienza vela la verità dell’uomo, facendo apparire tutto il mondo come riducibile ad una formula: è la formula del vecchio e nuovo positivismo, che cerca di racchiudere il mondo in tanti schemi, dimenticando la parte principale di tutto il discorso: l’uomo. L’uomo con le sue emozioni, con la sua sensata-insensatezza. L’uomo, con la sua parte non conoscibile da nessuno strumento “positivo”. È un abisso che solo la musica può raggiungere pur non potendolo spiegare. La musica che dona consapevolezza, che rende conto di quella “tragedia”che è la vita.


giovanni giuseppe albano


Bibliografia
ü Friedrich Willelm Nietzsche, La nascita della tragedia, Milano, Adelphi Edizioni, 2000 (ventesima edizione).
ü Enciclopedia Garzanti, Filosofia, (v. catarsi; Aristotele; Nietzsche; Platone; Socrate ) 1988.
ü Enciclopedia Garzanti, Letteratura, (v. Archiloco; Eschilo; Omero; tragedia ) 1988.
ü Enciclopedia Garzanti, Musica, (v. corale; musica greca; Wagner ) 1988.
ü Giovanni Calendoli, Storia della musica, e Storia del teatro, in Enciclopedia Mondadori, Milano, 1983.
ü Elvidio Surian Manuale di storia della musica voll. I; II, Milano, Ruggimenti Editore, 2000.
ü  Paolo Colombo e Alfredo Castelli La musica mysteriosa, Milano, Sergio Bonelli Editore, 1996.
ü Acrosso e D'Alesio Mondo mitologico, (v.Dioniso, Apollo)  Soc. Ed. Dante Alighieri, 1981
ü Grant e Hatzel Dizionario della mitologia classica (v. idem), Milano, SugarCo Edizioni 1986


[1] Gino Stefani, Il senso della musica, in «Iter» maggio-agosto 1999.

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